a cura di Decio Lucano
                                                                                                                                                                           
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I SETTECENTO ANNI DEL GHIBELLIN FUGGIASCO

STORIA CRONACA E ANALISI
di Tobia Costagliola



1265-1321 La vita breve e intensa del Sommo Poeta Dante
2021: L’anno delle celebrazioni per i settecento anni dalla morte  Luca Signorelli anno 1500-1504
Commemorazioni e manifestazioni  a Ravenna e dintorni


RAVENNA La città di Ravenna, in special modo, e tutte le località che ospitarono il “ghibellin fuggiasco” durante gli ultimi tre anni della sua vita, non ha mai smesso, fin da quella  lontana notte tra il 13 e 14 settembre 1321 in cui avvenne il suo ”transitus”,  di ricordare e commemorare il Sommo Poeta. A partire dal 1302, anno in cui fu condannato alla pena capitale, in contumacia, Dante cominciò il suo ventennale girovagare per l’Italia centro-settentrionale che lo portò a Verona, presso Cangrande della Scala e poi in Emilia Romagna. Dante,  prima di arrivare a Ravenna, nel 1318, aveva già instaurato solidi rapporti di amicizia con membri eminenti della società ravennate durante i suoi soggiorni a Bologna (Fiduccio Milotti, Guido Novello da Polenta, i conti Guidi, Pietro Giardini, ecc). Fra i molti approdi del «ghibellin fuggiasco» negli anni dell’esilio, Ravenna non è solo l’ultimo, ma una meta che Dante aveva lungamente preparato non solo per sé, ma per riunire i membri della sua famiglia in un contesto finalmente favorevole. Oltre al rapporto continuativo con la città, lo dimostrano la familiarità con quel territorio e, soprattutto, con la famiglia dei conti da Polenta.

I rintocchi di una campana “ in  aeterna commemoratione”

Nel 1921, in occasione delle celebrazioni del sesto centenario della morte del Sommo Poeta, i Comuni italiani donarono alla citta di Ravenna una campana che fu installata su una piccola torre campanaria, costruita sul retro della sua tomba, contigua al “Quadrarco di Braccioforte”. E’ da allora che, ogni sera, all’imbrunire, da quel campanile, si diffondono per la città, 13 rintocchi. Rintocchi che ricordano la dipartita  del poeta che avvenne nella notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321, e due terzine del Purgatorio:
“ Era già l'ora che volge il disio
ai navicanti e 'ntenerisce il core
lo dì c'han detto ai dolci amici addio;
e che lo novo peregrin d'amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more” ( Purgatorio canto VIII, 1-6)

Le esposizioni di Sara Baldini

Tralasciando la miriade di commentatori di Dante di ogni tempo, prendo lo spunto da una delle usuali esposizioni di Sara Baldini, una delle tante giovani e bravissime guide che trasmettono, ogni giorno, con enfasi, passione  e rinnovato entusiasmo,  la cultura dantesca nella città di Ravenna. I tocchi di questa campana, ben familiari a tutti i ravennati d’ogni estrazione sociale e culturale e i versi sopra citati “sono un richiamo alla classica condizione psicologica che attanaglia un qualsivoglia viaggiatore (o navigante) al suono che indica la Compieta, e cioè una stretta al cuore per la nostalgia di casa e dei propri affetti. Questa malinconia viene descritta da Dante nel corso del primo tramonto purgatoriale, giunto nella valletta dei “principi negligenti”.
Il riferimento è chiaramente quello alla condizione di esule del poeta.  Ma alla nostalgia data dell’abbandono di quella che era la propria patria, Firenze, si unisce la consapevolezza della grazia futura, una volta che il cammino oltremondano vedrà il proprio compimento. Sì perché in fondo il viaggio del poeta attraverso i tre regni, non è altro che la metafora del pellegrinaggio concepito come passaggio da una condizione di esilio e di traviamento morale fino al raggiungimento della patria celeste. Lo dimostra il fatto che la definizione «novo peregrin» (v.4), interpretata solitamente come un riferimento al pellegrino neofita e non esperto di cammino, allude piuttosto alla “renovatio” cui è connessa l’esperienza del pellegrinaggio, inteso come itinerario penitenziale. Non a caso l'immagine introduce l’ingresso di Dante nel Purgatorio, regno di espiazione e quindi redenzione.

Non solo la campana del “disio”.
Le campane e  la basilica di San Francesco.

«Nel 1921, il Comitato Cattolico Dantesco fece realizzare 5 campane denominate: Petrus, Maria, Benedictus, Margarita, Bona, tutte in tono da “re bemolle grave” per onorare, in particolare, il carattere sacro e solenne della chiesa di San Francesco che ospitò i funerali  del poeta. Il Comitato chiese espressamente che le campane fossero “campane di lutto, cupe, austere, profonde” così come ancora oggi vengono riconosciute dai ravennati per le loro qualità ” timbriche, musicali, antifonali” (anche dopo i restauri e rifacimenti nel secondo dopoguerra). Dante aveva celebrato S. Francesco, dando la parola a S. Tommaso d'Aquino, nel Canto XI del Paradiso.

La  tentata trafugazione della salma

I Francescani, ben consapevoli di tutto questo, accolsero volentieri la salma di Dante nel loro cimitero sul lato settentrionale della basilica, addossando in seguito lo stesso sarcofago marmoreo a quello che diventerà il lato di occidente del loro secondo chiostro, per questo chiamato Chiostro di Dante. Di qui sottrassero le ossa di Dante, perforando il sarcofago stesso, quando, sotto il pontificato di Leone X (dei Medici), i Fiorentini minacciarono di fare incursione a Ravenna e trafugare il corpo del poeta (anni 1513-1521). Fa onore a Dante, ma anche ai Francescani, l'ultimo dei sei versi scolpiti nel sarcofago: "Firenze gli fu madre di poco amore", più lo amò Ravenna. […] Dante e la basilica di S. Francesco sono un binomio inscindibile a Ravenna. Infatti, questa basilica di S. Francesco è uno dei "teatri" mondiali in cui Dante Alighieri è primo attore della storia e della profezia. Qui, per promozione del Centro Ravennate Relazioni Culturali, in tre anni, la Divina Commedia è stata letta e commentata al popolo. Qui si celebra la cosiddetta “Messa di Dante” la seconda domenica di settembre; qui si commemora la morte di Dante con il “Dantis Poetae Transitus” la sera del 13 settembre. Accanto a questa basilica il P. Severino Ragazzini fondava nel 1965 il Centro Dantesco (Biblioteca e Museo), ancora oggi attivo ed impegnato nel far conoscere la persona e il messaggio di Dante, secondo il desiderio del fondatore: “volevo creare un Centro Dantesco che mettesse a contatto con Dante vivo. Insomma, volevo unire Sepolcro glorioso (con i resti mortali dell'Alighieri) e Centro Dantesco con gli scritti del Poeta che ancora lanciano messaggi all'umanità. Così il Centro Dantesco avrebbe dato voce ad un sepolcro.” […]». ( cfr.Don Giovanni Montanari e i Frati Francescani)

Campane di lutto. Campane di guerra, campane di pace e di commemorazione nella zona del silenzio

Tutto il complesso dantesco o zona di Dante è ubicato nel centro storico di Ravenna il cui fulcro principale è la tomba di Dante (tempietto neoclassico costruito nel 1780-81 dall’architetto Camillo Morigia) il Quadrarco di Braccioforte, la basilica di San Francesco, il museo dantesco e i chiostri francescani. Tutti gli interventi urbanistici eseguiti durante gli anni venti e trenta del secolo scorso, hanno conferito a questa zona una fisionomia talmente caratteristica ed originale da farle acquisire l’appellativo di “Zona del silenzio” dove riposa un concittadino tanto illustre e tanto amato.
Questa zona del silenzio, tuttavia, è anche la zona della memoria scandita dal suono delle campane che, per la loro origine, si prestano ad interpretazioni ben diverse dal significato simbolico e spirituale originario. 
« […] La campana dei Comuni d’Italia, mutando l’immagine medioevale  dalla “squilla” di guerra – che incitava all’azione in nome dell’unità e della concordia - presentava  un forte significato nazionalistico sin  dalla sua  genesi: forgiata dalla fusione di sei quintali di argento e bronzo del nemico, al pari  della corona d’alloro saldata ai piedi del sepolcro di Dante (dono del municipio e delle città fiumane, “formata da tante foglie quante sono le provincie storiche del regno e le città irredente), e dell’ampolla delle terre irredente, realizzata  con l’argento delle donne istriane. Di qui l’appellativo (comune all’ampolla di Trieste e alla lampada sepolcrale, che, voluta dalla Società Dantesca italiana, arde ininterrottamente dal 13 settembre del  1908), di campana votiva, risultato cioè di un’operazione di sacralizzazione, di trasferimento di un messaggio politico in una formula e ritualità religiosa. Allo stesso modo le campane di San Francesco furono realizzate fondendo, assieme alle campane storiche precedenti, sette cannoni di bronzo impiegati nella Grande Guerra (provenienti dal deposito di artiglieria di Bologna e ceduti appositamente dal Governo) e - dato ancora più clamoroso - i “frammenti di campane tolti al nemico, sui quali si scorgevano chiaramente le cicatrici lasciate dai proiettili che le infransero”. Durante la prima Guerra Mondiale le campane vengono così investite di un’ufficialità rafforzata dagli apparati epigrafici, decorativi, celebrativi, divenendo il centro di insospettabili strategie di comunicazione. […]» (cfr.Comitato Ravennate della Società Dante Alighieri per il settimo centenario, diretto da A. Cottignoli e Emilio Pasquini, Bollettino dantesco del 5 sett. 2016).

Quadrarco di Braccioforte

Il “Quadrarco di Braccioforte” si trova vicino alla tomba di Dante, sul sito di un oratorio citato  nel IX secolo dallo storico ravennate Andrea Agnello e chiamato “Braccioforte” a motivo di una antica leggenda secondo la quale due fedeli avrebbero prestato giuramento invocando il “braccio forte” di Cristo la cui immagine era conservata in quel luogo. All’interno del “Quadrarco” sono conservati, a destra dell’entrata, i sarcofagi “Pignatta” e “Traversari” entrambi riferibili ad un periodo tra il V e il VI secolo ma riutilizzati successivamente per le sepolture di esponenti di famiglie nobili ravennati, dalle quali prendono nome. Altri tre sarcofagi, dalla decorazione più semplice, sono presenti nel piccolo giardino accanto, dove sorge un dosso verdeggiante che ricorda il luogo in cui furono conservate le spoglie dantesche durante la seconda guerra mondiale.

Le celebrazioni

La sera del 5 settembre 2020, con una visita a Ravenna del tutto riservata a poche autorità, peraltro rigorosamente “bardate” con le mascherine anti-covid, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha tenuto a battesimo le celebrazioni per il settecentenario della morte di Dante Alighieri. Ha “tagliato il nastro“ dell’appena restaurata tomba del Poeta  e partecipato al concerto, in piazza san Francesco, seguito dalla lettura del canto XXXIII del Paradiso da parte dell’attore Elio Germano. La piazza era  praticamente “blindata” per motivi di sicurezza e dedicata solo alla presenza di rappresentanti del Governo e delle istituzioni e pochi invitati, fra cui i sindaci delle città di Firenze e Verona. I cittadini ravennati hanno affollato invece la platea allestita in piazza del Popolo con un grande schermo per assistere alla cerimonia inaugurale in diretta video.
Riporto, qui di seguito, uno stralcio del programma delle manifestazioni 2020-2021 annunciato dal sindaco di Ravenna Michele De Pascale.
« […] In tutta Italia, questo anno vedrà una ricchezza incredibile di eventi e celebrazioni, per noi in particolare, un nuovo Museo Dantesco, la nascita di Casa Dante, con un nuova e storica collaborazione con la Galleria degli Uffizi, il completamento della Commedia di Ravenna Festival e del Teatro delle Albe che hanno portato in scena in questi anni più di mille cittadini-attori, un fatto unico e irripetibile, e poi eventi espositivi di primissimo piano in rete con quanto avverrà in tutto il territorio nazionale, poesia, letteratura, danza musica, mosaico; non ci sarà arte che nel prossimo anno non si cimenterà con Dante.
Arriveranno a Ravenna anche i più prestigiosi studiosi di Dante del pianeta grazie all’Università di Bologna che dopo aver invitato, infruttuosamente, Dante presso la sua sede tramite Giovanni del Virgilio, nel 1319, ha ben pensato, circa 650 anni dopo, di raggiungere il Poeta qui a Ravenna con il suo Campus.
Avremo anche il grande onore, insieme all’Arcivescovo Ghizzoni, di essere ricevuti, il prossimo 10 di Ottobre, da Papa Francesco, che apporrà la sua benedizione alla Croce che Paolo VI nel settimo centenario della nascita di Dante donò alla città per la Tomba del Poeta, in occasione del suo Altissimi Cantus, tutt’ora il più rilevante tributo della Chiesa Cattolica al poeta della cristianità.
Chiuderemo fra dodici mesi insieme alle città sorelle nell’amore per Dante, Firenze e Verona, con uno straordinario concerto del più grande maestro ed artista italiano del nostro tempo, il Maestro Riccardo Muti, a cui siamo riconoscenti, oltre che per la sua opera straordinaria, per il continuo monito a difesa della cultura italiana.
Qual è quindi la via giusta per onorare Dante a 700 anni dalla sua morte? Se lo chiese anche Benedetto Croce un secolo fa, in occasione del sesto centenario, e proprio da Ravenna, ci ha indicato una via che risulta quanto mai attuale anche oggi:
La conclusione, insomma, è che il più alto e vero modo di onorare Dante è anche il più semplice: leggerlo e rileggerlo, cantarlo e ricantarlo, tra noi e noi, per la nostra letizia, per il nostro spirituale elevamento, per quell’interiore educazione che ci tocca fare e rifare e restaurare ogni giorno, se vogliamo “seguir virtute e canoscenza”, se vogliamo vivere non da bruti, ma da uomini. E da donne. Viva Dante, Evviva l’Italia!»

Altre manifestazioni

Sabato, 3 ottobre 2020, il presidente Sergio Mattarella ha inaugurato, a Roma, nella palazzina gregoriana del Palazzo del Quirinale, la mostra fotografica “Dante 700” realizzata da Massimo Sestini, fotoreporter di fama internazionale. Un racconto fotografico che parte da Firenze, città natale di Dante, a Ravenna, dove sono conservate le sue spoglie, passando per la sorgente dell'Arno sul Monte Falterona. Ma anche Venezia, Roma, Verona e Poppi, per scoprire – come in un vero reportage – quanto il volto del poeta continui ad accompagnare le nostre vite. Manifestazioni significative sono state programmate, non solo a Ravenna, ma anche a Verona, Firenze, nel casentinese (Arezzo), Forli.

Curiosità
Tra le molteplici iniziative culturali dei frati francescani che, da secoli, custodiscono le spoglie di Dante, è notevole il “video-mapping sull’abside di San Francesco che costituisce una “catechesi per immagini”: si tratta di proiezioni animate sul Paradiso  A firmare l’opera è stato un confratello del convento di Padova: l’idea è raccontare in immagini l’incontro di Dante con San Francesco, San Domenico e San Pier Damiani e la conclusione della Commedia nella quale il Poeta arriva a vedereDio. Significativa ed originale è stato l’addobbo natalizio del centro storico di Ravenna, ove, ancora oggi, le luminarie evidenziano alcuni versi di Dante in un percorso ideale attraverso le tre Cantiche.

Il Dantedì

A partire dal 25 marzo 2021 si celebrerà il “Dantedì”, la giornata dedicata al Sommo Poeta. La proposta per l’istituzione del “Dantedì” era partita, nella primavera del 2019, dal Corriere della Sera che aveva sostenuto, tra le date più adatte, proprio quella del 25 marzo. Il progetto della giornata per Dante Alighieri aveva raccolto l’adesione di prestigiose istituzioni culturali quali  l’Accademia della Crusca, la Società Dantesca, la Società Dante Alighieri, l’Associazione degli Italianisti e la Società Italiana per lo studio del pensiero medievale,   intellettuali e studiosi italiani e stranieri e, finalmente, del Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro per i Beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini.
Alcuni interessanti dettagli di questa manifestazione  spiegati dalla scrittrice prof. Ersilia Di Palo di Napoli:
« […] La scelta del 25 marzo non è casuale, per gli studiosi rappresenta l’inizio del viaggio di Dante nell’aldilà. Il sommo poeta si sarebbe smarrito nella “selva oscura, ché la diritta via era smarrita”, nella primavera dell’anno in cui fu indetto il Giubileo da Papa Bonifacio VIII (bolla del 22.02.1300 ndr).
L’iniziativa è stata condivisa da prestigiose istituzioni culturali, dall’Accademia della Crusca, dalla Società Dantesca, dalla Società Dante Alighieri, dall’Associazione degli Italianisti e dalla Società italiana per lo studio del pensiero medievale.
Enrico Malato, studioso ed editore della «Commedia», propone anche un’«incoronazione» simbolica  cioè la consegna di quell’amata corona di alloro, che Dante aveva tanto  desiderato in vita ma che Firenze gli negò. Dante esprime questo suo desiderio nel canto XXV del Paradiso,  a conclusione dell’impresa poetica: “se mai il «poema sacro», la cui fatica mi ha smagrito, riuscirà a vincere la crudeltà di quelli che mi tengono fuori da Firenze («dal bell’ovile»), allora tornerò nella mia città invecchiato ma con ben altro (e altissimo) prestigio (di poeta): potrò dunque prendere la corona d’alloro sul mio fonte battesimale..”.
Ma il ripensamento dei fiorentini e il riconoscimento auspicato non ci furono. Dante Alighieri, anche se è raffigurato con la corona d’alloro, in vita non fece in tempo a ricevere tale onore.
Egli morì di malaria mentre era in esilio a Ravenna, nella notte tra il 13 e il 14 settembre  del 1321. Il suo sogno svanì dunque con lui e Firenze non si associò al pianto universale per la sua scomparsa. La corona d’alloro avrebbe dovuto omaggiare il “poema sacro”, al quale Dante aveva dedicato gran parte della sua vita con un immane dispendio di energie fisiche oltre che intellettuali e morali. Il professore Enrico Malato propone che l’«amato alloro» venga idealmente consegnato al Sommo Poeta nel 2021, settecentesimo anniversario della sua morte   e che quella cerimonia solenne al Quirinale possa coincidere proprio con  la prima giornata del Dantedì ».

Dante ed il “Corona Virus”

Purtroppo tutte le manifestazioni programmate stanno subendo i ben noti condizionamenti  posti dalla pandemia. Confesercenti e Confcommercio hanno chiesto ed ottenuto dal Sindaco di Ravenna la possibilità di prolungare il programma degli eventi anche nel 2022. Ovviamente gli eventi già in programma verranno organizzati regolarmente o posticipati all’autunno, anche perché l’anno per le celebrazioni è e rimane il 2021; però è possibile prevedere altri appuntamenti danteschi anche per il prossimo anno. In sostanza, l’anno dantesco verrà regolarmente celebrato ma avrà una coda nel 2022 con nuove e importanti iniziative”, da settembre 2021 a settembre 2022, tenendo come fulcro centrale delle celebrazioni il 21 settembre 2021.

N.B. Chi volesse approfondire il programma delle celebrazioni può collegarsi al seguente link: https://www.touringclub.it/notizie-di-viaggio/dante-2021-gli-eventi-le-mostre-e-gli-spettacoli-per-celebrare-i-700-anni-dalla
Oppure su Google : Dante 2021: gli eventi, le mostre e gli spettacoli per celebrare i 700 anni dalla morte del poeta.


Ravenna, 22 gennaio 2021


Tobia Costagliola


* * * * * *


DANTE E LA NAVIGAZIONE

PERCHE’ NESSUNO RICORDA IL DANTE NAUTICUS ?
di Silvestro Sannino


 Caro Decio, in questo anno 2021 ricorre il settimo centenario della morte di Dante ed è normale che le DL NEWSAttilio Runcaldier Metà sec.XIX
                      Ritratto di Dante devono ricordare adeguatamente l’evento.
Per quanto mi riguarda seguo gli interventi in merito e mi sto facendo la convinzione che all’improvviso siano diventati tutti esperti di Dante. Servirà a qualcosa? Appena qualche anno fa molti dicevano che Dante era “superato”, “obsolete” e quindi andava eliminato dai curricoli scolastici.
Non sono un “dantista”; ho scritto il breve saggio sul Dante Nauticus perché un caro amico, Agnello Baldi, esperto di Dante per davvero e che da pochi mesi ci ha lasciati, dopo alcune discussioni sull’argomento mi “ordinò” di scriverlo; ma se l’editore non lo diffonde in modo adeguato esso rimane ignoto ai più.
La ragione del saggio è molto semplice e pone una domanda. Perché nella sterminata produzione che annovera decine di migliaia di scritti su Dante nessuno, finora, ha mai affrontato il “Dante Nauticus”?
Il Simplicio di Galileana memoria direbbe: “E’ chiaro, l’argomento non è importante”.
Ma Sagredo gli fa notare che nella Commedia Dante fa un viaggio ed il viaggio, per natura e per concezione, è assimilabile alla navigazione e quindi come fa ad essere, il navigare in Dante, un argomento secondario?
Per me si tratta di esporre questi aspetti, questi concetti, in modo semplice ma comprensibile e non banale. Io penso di farlo, ma più in là, e non perché sono stanco, per queste cose le energie ancora mi confortano. E lo farò non tanto per far conoscere il mio liberculo, bensì per cercare di far passare il messaggio che Dante è un riferimento assoluto, non solo sul piano della Poesia ma anche della cultura più profonda del suo tempo, il tempo di Alberto Magno, di Tommaso d’Aquino, di Domenico, di Francesco, di Bacone, di Federico II…
Va da sé che una visione del genere non si sposa con i numerosi arrembaggi mercantilistici tanto di moda in questo anno dantesco; ma il mercantilismo letterario non avrà vita eterna, bensì una vita effimera.
Ho sentito spesso persone, “comunicatori” di professione esclamare: “ Ah! Ma il Dante che facevamo al liceo (sic) era diverso…” Questo significa che il soggetto de quo dopo il liceo non ha più letto, esplorato Dante e adesso cerca qualcuno che lo guidi per mano a scoprire un Dante di moda. Nei numerosi commenti a Dante dei testi scolastici vi sono tutte le informazioni necessarie per leggere Dante negli aspetti oggettivi. Ma la dimensione poetica e culturale deve avere sempre una componente soggettiva per cogliere tutti i messaggi e le sfumature più variegate, componente che si rinnova ad ogni rilettura; e solo in tal modo essa costituisce “l’armonia (che) vincerà di mille secoli il silenzio”; qui prendo a prestito una espressione sublime del genio poetico di Ugo Foscolo.
Renato Ferraro ha letto con grande interesse il mio Dante Nauticus e l’ha segnalato anche alla Rivista Marittima il cui direttore Cap.di Vascello Daniele Sapienza l’ha apprezzato ed ha preso in esame l’idea di diffonderlo, tramite la Rivista, in forma opportuna. Il comune amico e collaboratore delle DL NEWS, Ammiraglio Renato, si è detto anche disponibile a fare una recensione del saggio, come lui sa fare con rara maestria, aggiungo io, ma vuole aspettare prima la decisione operativa di Sapienza. La recensione potrebbe uscire come un annuncio/preavviso dell’edizione da parte della Marina, Rivista Marittima o Ufficio Storico.
Qualche giorno fa mi è capitato sotto gli occhi il Notiziario della Sezione Ligure dell’Associazione Italiana Biblioteche che riporta un lungo articolo dal titolo “Dante e le arti del mare” a firma Aldo Caterino, curatore della mostra “I mestieri del Mare”. L’autore attinge a piene mani (basta vedere le prime tre pagine del suo articolo) interi periodi e concetti dal “Dante e la Navigazione”, cambiando qualche termine con sinonimi. Una volta quando si riportava il pensiero di un altro era buon uso metterlo tra virgolette. Citare solo il libro nella bibliografia finale non mi pare molto elegante; chi legge attribuisce il concetto all’autore dell’articolo!
Caro Decio, sono cambiati i tempi? Penso che se il Caterino avesse riportato le frasi tra virgolette avrebbe fatto un lavoro più meritorio sul piano letterario oltre che su quello intellettuale.
Affettuosi saluti

Silvestro  Sannino     15 gennaio 2021



* * * * * *

 
E ALLORA ANDIAMO ALLA SCOPERTA DELLA “marittimità”  dell’Alighieri

DANTE e la navigazione, il libro /saggio di Sannino
di Decio Lucano


La prima edizione di DANTE e la navigazione del professor Silvestro Sannino uscì nel marzo 2012, Edizioni Gaia, €8,00, pagg. 70 con una prefazione di Agnello Baldi che sottolinea come Dante dibatte nelle sue opere una conoscenza eccezionale della materia.
Scrive Sannino: “La Commedia di Dante racconta un viaggio e il viaggio, per natura e per concezione, é assimilabile all’azione del navigare ...”
L’arte nautica del poeta fiorentino si esplicita anche nel suo Convivio oltre ai suoi studi e ricerche per dare alla sua narrazione- scrive Sannino – originalità e chiarezza.

La navigazione nella concezione di Dante

Joseph Anton Koch, inferno,
                      1825-28, Dante e VirgilioDante, che prende il profilo filosofico e di principio, sia per gli aspetti operativi  procede nella navigazione cogliendo il reale senso dei vari aspetti tecnici della pratica nautica come, ad esempio, quando specifica che tutti gli “ offici “ a bordo della nave sono ordinati “a far prendere il desiderato porto per salutevole via“; e  lo fa con precisione e profondità, afferma Sannino, come nessun altro ha saputo fare, né prima né dopo di lui.
E qui lasciatemi fare una digressione. Parecchi anni fa, l’IMO aveva varato il “ Piano di navigazione “,  un po’ come in aviazione, e per  Dante, scrive Sannino, la condizione prima e principale di ogni viaggio  per la via più idonea, più conveniente, più economica.
In sintesi “salutevole“, cioè si direbber oggi in sicurezza.

Sicurezza e Assicurazioni marittime

Costi, benefici, rischi da mettere in  conto, conoscendo - scrive Sannino - “lo spazio geografico/geofisico  in cui si naviga e la sua rappresentazione (carte nautiche medioevali) … inoltre  gli usi e i costumi del mare  vengono sanciti in formali  regole e metodi  di navigazione  contenute negli statuti marittimi che fioriscono nell’area del Mediterraneo e … nascono importanti Istituti di commercio marittimo come le Assicurazioi marittime, i consoli del mare, la commenda, il germinamento  e cos’ via”.
Ricordiamo l'iniziativa di Cattolica assicurazioni che ha fatto stampare  il Trattato sulle assicurazioni marittime, due tomi di notevole grandezza d'Ascanio Baldasseroni, siamo nel 1600 ……...
Dante insomma è un sommo poeta, intellettuale ma anche un uomo di carattere e di coerenza politica tanto che dovrà andare in esilio forzata dalla sua Firenze a Roma.  La realtà lo pone vicino ai tempi nostri, anche se la presenza storica di miti e viaggi ai suoi tempi ancora  enfatizzati  e ascoltati dà alla sua voce un’aura  quasi mistica … .
Dante – scerive Sannino fornisce vari metodi nella determinazione del tempo, è un meteorologo,  ha rispetto del mare; nel passo del XXI canto dell’ Inferno esalta le attività legate alla nave  come il rimessaggio invernale nell’arsenale di Venezia  e “ Infine  non perde occasione di cogliere il lato sentimentale della gente che naviga.
Un capitolo a parte Sannino lo dedica alla Teoria della navigazione e della politica come strumento di traffici e di civilizzazione (argomenti di primo piano sin dall’antichità). Salomone non capiva proprio il cammino della nave sul mare, l’epica impresa degli Argonauti, Pompeo Magno che conia la celebre frase navigare necesse est vivere non est necesse (riferito da Plutarco). Nel Convivio introduce un nitido paragone nautico/politico di stringente attualità, lo riprendiamo:
    
 “(…) Si come vedemo in una nave, che diversi offici e diversi fini di quella a un solo fine sono ordinati, cioè a prendere loro desiderato porto per salutevole via: dove si come ciascun officiale ordina la propria operazione nel proprio fine, così é uno che tutti questi fini considera, e ordina quelli; e questo é lo nocchiero, a la  cui voce tutti obbedire deono“.

Un chiaro ammonimento per i tempi  nostri, il porto, la meta,  é preso solo quando la nave é dentro, al sicuro, ben salda agli ormeggi e sulle ancore:

       “ e legno vidi già dritto e veloce corre lo mar per tutto suo cammino, perire al fine a l’intrar de la foce “ (Pd)


Qui entra in scena, onde evitare col cattivo tempo la manovra  di entrata col rischio di perdere la nave e quindi é necessario l’impiego di un pilota locale fin dai tempi più antichi; il termine legno si trova nel Constitutum Usus di Pisa e in altri codici minori e significa nave, naviglio minore.
Nave è per Dante sinonimo di vita di percorso, punto di partenza; nel passo del  Convivio due termini nautici: artimone, vela principale, pelago inteso come alto mare, allegoricamente la vita stessa.
E il concetto del buon nocchiero per navigare superando le difficoltà é indispensabile per la sicurezza della nave che rimarrebbe senza un pilota esperto, alla deriva e qui riportiamo la celebre invettiva di Dante:

     
     Ahi serva Italia, di dolore ostello
nave senza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincia ma bordello! ( Pg)

Ma Dante entra anche nel settore militare descrivendo le  funzioni dell’ammiraglio, capo supremo dell’armata navale, e poi l’orientamento e la misura del tempo fornendo, - scrive Sannino - un ampio e interessante repertorio di metodi di orientamento e misura del tempo.
Distinguendo  navigazione costiera e d’altura, di giorno e di notte, stelle, sole, luna, nel famoso passo del primo canto del Paradiso dove troviamo sole e stella polare,

   “ Sorge ai mortali per diverse foci
la lucerna del mondo, ma da quella
che quattro cerchi giugne con tre croci,”

Rafael Flores
                      anno 1855Qui il sommo poeta entra autorevolmente   nel messaggio cosmografico, nella teoria astronomica, nella descrizione degli astri, nello zodiaco, nella funzione dell’ago magnetico, nelle maree e non più navigare orientandosi con i venti di cui una messe di citazioni nei versi della Commedia.
L’impresa degi Argonauti era il simbolo di un  viaggio difficile, la prima nave a solcare i mari …
la navigazione d’altura richiede  precise condizioni operative.  Dante è più vicino allo scienziato che al poetare, addiritura consigliando a valutare bene i propri mezzi e le proprie forze (allegoria della nave e della navigazione) con profondi significati di ordine teologico e morale.
Sannino sottolinea le opere di poeti e esploratori con chiara preferenza di personaggi reali.
Dante ha una padronanza della concezione dinamica della sfera celeste, afferma Sannino,  che gli consente di apprezzare la direzione voluta.
Circa la metà del XXVI canto dell’Inferno è dedicata alla navigazione di Ulisse
I segni del tempo, la nave, i traffici sono altra materia marinaresca di Dante, che, da par suo, dice Sannino il lato umano emotivo e psicologico pone nell’incontro con gli uomini, i personaggi mitologici, i barattieri (lestofanti).
I legni hanno bisogno di manutenzione  e riparazione dopo lungo tempo e viaggi,  Dante si scopre carpentiere, il cantiere navale sembra non abbia segreti per lui, gli arsenali, la “ tenace pece che bolle”, alberi, vele, calafataggio, utensili creano l’atmosfera dell’ambiente di lavoro.
La scienza è anche poesia, diceva Vittorio G. Rossi,  e Dante è anche scienziato, diciamo noi in sintesi, con il  Poeta perché la navigazione é la metafora della vita (Convivio); bisogna trovare le giuste rotte verso l’agognato porto  dell’esistenza, nonostante le difficoltà ed i pericoli di cui é cosparso “lo gran mar dell’essere”
Sannino ha scritto un piccolo capolavoro, lo misuriamo con il tempo che ne accresce la profondità scientifica e filosofica.
Concludiamo questa lettura con una nota  nostalgica, la malinconia dei naviganti  per la solitudine a bordo dei legni:

      “Era già l’ora che volge il disio
ai navicanti e ’ntenerisce il core
lo dì c’han detto ai dolci amici addio”
(Pg)  


di Decio Lucano



* * * * * *

Quando un grande disastro promuove un grande passo avanti
per la navigazione

sintesi di uno studio dell'ing. Flavio Scopinich

Molte volte i grandi progressi scientifici in campo nautico, sono figli di necessità belliche; basti pensare alla invenzione del RADAR durante la Seconda Guerra Mondiale oppure lo sviluppo della navigazione inerziale o di quella satellitare, (principalmente utilizzate dai sommergibili atomici armati di missili balistici), quando c’è la necessità di conoscere con grande precisione la propria posizione in mezzo al mare.
Il potere conoscere con precisione, la propria posizione in mezzo al mare, è sempre stata la principale preoccupazione di qualsiasi navigante. Fino al 1700, i naviganti in mezzo al mare erano solamente in grado di determinare con una certa precisione la Latitudine (retta di altezza del sole a mezzogiorno), mentre la determinazione della Longitudine, era fondamentalmente affidata alla navigazione stimata, basata essenzialmente sulle indicazioni (in termini di angolo di rotta e distanza), fornite dalla bussola e dal solcometro.
Quasi tutti sanno che nella storia della navigazione, il gran passo in avanti corrispose, a quando fu possibile potere compiere osservazioni di astri verso oriente od occidente, in modo da poterne calcolare la loro posizione teorica utilizzando le effemeridi, a condizione di sapere l’ora esatta della osservazione dell’astro.
Quindi, la capacità di sapere l’ora esatta in mezzo al mare, la si può onestamente considerare uno step determinante al progresso della navigazione, al pari della bussola, descritta dal mio omonimo Flavio GIOIA, (un navigatore amalfitano) che intorno al 1300, avrebbe inventato (o meglio perfezionato), la bussola magnetica (storicamente inventata dai Cinesi ed adottata dai naviganti: Arabi, Veneziani ed Amalfitani).
Non molti sanno però, che la causa scatenante di un meccanismo o sistema, che consentisse ai naviganti, di conoscere esattamente l’ora in mezzo al mare, fu un terribile naufragio nei pressi delle isole SCHILLY, un gruppo di isolotti e scogli affioranti situato a SW della Gran Bretagna.
Un grande e tragico disastro navale, imputabile alla incapacità di determinare con precisione il punto nave, fatto che spinse il Governo inglese a promulgare il “Latitude Act”, un atto formale, nel quale si prometteva un grandissimo premio in denaro, a chi fosse riuscito a trovare il sistema di determinare con precisione il valore della longitudine in mezzo al mare e lontano dalle coste.
Infatti, il 22 Ottobre, correva l’anniversario della grande tragedia delle Isole Scilly, un disastro navale, nel quale 4 navi appartenenti ad una squadra navale della Reale Marina Inglese, naufragarono nei pressi delle Isole Scilly, causando la morte di quasi 2000 marinai; disastro la cui principale causa, fu identificata nella impossibilità da parte degli ufficiali di rotta, di riuscire a  determinare con precisione la longitudine, in cui si trovavano le navi.
 

Antefatto – (L’assedio del porto di Tolone):

Tutto ebbe inizio durante la guerra di successione Spagnola, quando nel periodo fra il 29 Luglio ed il 21 Agosto del 1707, una forza bellica composta da: Inglesi, Austriaci, ed Olandesi; posta sotto il comando del Principe Eugenio di Savoia, avevano messo sotto assedio il porto francese di Tolone, cingendo; sia dal lato terra con gli eserciti austro Olandesi, che dal lato mare, grazie alle navi della flotta inglese. Navi, che sotto il comando dell’Ammiraglio Sir Cloudesley Shovell, erano entrate nel mar Mediterraneo e risalendo le coste meridionali spagnole e francesi, erano arrivate di fronte al porto di Tolone mettendolo sotto assedio dal mare.
Vista la situazione critica in città, per ordine del re Luigi XV, dalle navi della flotta francese
(ancorate nel porto di Tolone), furono smontati i cannoni e posti sulle mura, mentre le oltre 46 navi della flotta, vennero auto-affondate, per impedire che venissero distrutte e/o catturate dalle forze navali britanniche.
Fortunatamente per i francesi, le forze terrestri Austro-Olandesi, non avevano sufficienti mezzi ed uomini per cingere completamente d’assedio la città, e dopo avere perso oltre 13,000 uomini (la maggior parte per malattie), si ritirarono in Piemonte, abbandonando le colline intorno a Tolone.
L’insieme della campagna Austro-Olandese-Britannica, fu considerata un insuccesso militare, anche se con l’auto affondamento della flotta francese, veniva di fatto consegnato alla flotta Inglese il dominio e controllo del Mar Mediterraneo settentrionale, senza pero essere riusciti da parte degli Inglesi a demolire le navi della flotta Francese.
Conseguentemente, vista l’impossibilità di danneggiare o catturare le navi della flotta francese, fu ordinato alla flotta inglese di tornarsene a casa facendo prima rotta per Gibilterra, da dove successivamente (nel tardo settembre), sarebbe dovuta ripartire per ritornare a Portsmouth, base navale da cui erano partite le navi che avevano partecipato all’assedio di Tolone.
Ammiraglio Sir
                        Cloudesley - Fort Saint Louis 
Ammiraglio Sir Cloudesley Shovell  Fort Saint Louis a protezione del porto di Tolone

Rientro a Portsmouth – (Il Naufragio):

Il 29 Settembre 1707, la flotta sempre ai comandi dell’Ammiraglio Sir Cloudesley Shovell, partì da Gibilterra alla volta di Portsmouth; la flottiglia era abbastanza numerosa; era infatti composta da 21 unità così suddivise: 15 navi da trasporto, 4 navi da guerra, 1 sloop ed 1 Yacht.
Nel dettaglio: la HSM Association era la nave ammiraglia di Sir Cloudesley Shovell, mentre la HMS Royal Anne era la nave assegnata al Viceammiraglio dei mari Sir George Byng e la HMS Torbay era la nave assegnata al Viceammiraglio dei mari Sir John Norris.  
Considerando che la navigazione di trasferimento da Gibilterra a Portsmouth, avveniva durante il mese di ottobre, le condizioni meteo marine furono pessime, con grossi piovaschi e forti raffiche di vento da ponente. Appena la flotta lasciò le coste meridionali portoghesi dell’Algarve, si avventurò nell’Oceano Atlantico al fine di attraversare da lontano il golfo di Biscaglia tenendosi contemporaneamente lontano dalle coste francesi, con cui gli Inglesi erano in guerra.
Continuando la navigazione verso la madre patria, compiendo un ampio arco verso ovest, le condizioni meteo marine peggiorarono ulteriormente, rendendo di fatto impossibile la determinazione della latitudine tramite la usuale retta d’altezza di sole, obbligando gli ufficiali di rotta ad affidarsi esclusivamente alla tecnica della navigazione stimata, condotta in base alle distanze ricavate dai solcometri ed agli angoli di rotta indicati dalle bussole magnetiche.
Dopo molti giorni di navigazione, in assenza di riferimenti visivi, gli ufficiali di rotta, si affidarono all’unica indicazione possibile a quei tempi; la misura della profondità e tipo di fondale; fu così che il 21 Ottobre misurando una profondità fra 93 e 130 braccia (circa 170 – 240 metri), pensarono di essere in prossimità della piattaforma continentale che portava al canale della Manica.
Fortunatamente, nello stesso giorno (grazie ad una provvidenziale schiarita), fu possibile fare una retta di sole che fornì le indicazioni necessarie per stabilire che la flotta si trovava ad una latitudine di 48° e circa (50-57’) N. (a seconda delle rilevazioni effettuate dai vari ufficiali di rotta sulle navi).
Considerando nella loro globalità tutte queste misure, gli ufficiali di rotta stimarono che le navi della flotta si trovavano a circa 200 miglia WSW dalle isole Scilly. Quel punto fortunoso (basato sull’osservazione del sole) fu l’unico ed ultimo preso il 21 Ottobre, quindi, il resto della navigazione della flottiglia, proseguì secondo il metodo della navigazione stimata, basandosi (come punto di partenza), su quest’ultima assunzione.
Considerando che a causa delle ben note difficoltà di ottenere punti nave certi, da parte delle navi che effettuavano navigazioni oceanica su lunghe distanze, era normale buona pratica e consuetudine (da parte dei comandi delle basi navali di arrivo), l’inviare una nave incontro alla flotta in arrivo, al fine di guidarla celermente ed in sicurezza verso il porto di destino.
Conseguentemente, il 21 ottobre dal porto di Portsmouth, partì la “HMS Tartar”, una fregata da 32 cannoni di 5° classe varata nel 1702, i cui ufficiali, dopo avere navigato alcuni giorni nell’area a sud della Cornovaglia, senza avere incontrato nessuna nave della Flottiglia comandata da Sir Cloudesley Shovell, decisero di compiere un dietro-front, rientrando il 24 Ottobre.alla base di Portsmouth.
Nel frattempo, nelle prime ore del 21 Ottobre, il vento era girato da Nord a Sud Ovest, fornendo un vento molto favorevole alla Flotta di Sir Cloudesley Shovell, lungo la rotta di Est Nord Est, scelta per tornare a casa.
Alle 11:00 del mattino, tre vascelli si staccarono dalla formazione della squadra, per fare rotta su Falmouth (un porto sicuro alla estremità Sud Ovest della Cornovaglia). Alle ore 16:00 del 22 ottobre mentre la flottiglia era in navigazione per ENE, venne deciso un meeting a bordo della nave ammiraglia, dove vennero ripetute le misurazioni della profondità. Molto probabilmente Sir Cloudesley Shovell (pensando che la rotta verso il Canale della Manica fosse sicura), verso le ore 18 diede ordine di ripartire facendo rotta Nord Est.
  Canale
                        della Manica
Canale della Manica con i porti di Falmouth e Portsmouth          Dettaglio porto Portsmouth

Le navi ripresero la navigazione, con il vento sempre dalla parte poppiera ma con scarsa visibilità, con l’ulteriore difficoltà (data l’ora, dell’inizio di oscurità causa il tramonto incipiente) della relativa oscurità notturna. Verso le 20:00, la nave ammiraglia e molte altre navi del convoglio, si incagliarono sulle rocce antistanti l’isola di Sant’Agnese (una isola del gruppo dell’isole SCILLY), più precisamente nella parte Sud Ovest dell’isola stessa, causando la perdita irreparabile di ben 4 unità: la “HMS Association”, la “HMS Eagle”, la “HMS Romney” e la “HMS Firebrand”, mentre altre navi come la “HMS Royal Anne” si misero in salvo grazie all’abilità dell’equipaggio di ridurre la velatura delle vele alte per ridurre la velocità e riuscire così a schivare le rocce affioranti, in prossimità delle stesse, quando la nave si trovava a meno di una lunghezza scafo dalle rocce medesime.

Arcipelago isole SCILLY - HMS Association
Arcipelago isole SCILLY                     HMS Association sulle rocce

Nel dettaglio:
1)    La HMS Association, una nave da guerra armata con 90 cannoni, di seconda classe, comandata dal Capitano Edmund Loades, urtò violentemente la parte esterna della “Gilstone Rock” al largo della scogliera occidentale dell’arcipelago delle isole Scilly, causando l’annegamento di tutti i suoi 800 marinai compreso l’Ammiraglio Shovell. L’equipaggio della “St George che navigava seguendo a breve distanza la “HMS Association”,vide la nave ammiraglia venire inghiottita dal mare in tre o quattro minuti. Anche la “St George” urtò le rocce ma riuscì a limitare i danni disimpegnandosi dalla scogliera così come fece la “HMS Phoenix” che si arenò fra Tresco e St Martin’s mantenendo fortunatamente la sua galleggiabilità e potere così continuare a navigare.

Admiralty Chart N° 34
                      The Scilly Isles

Admiralty Chart N° 34 The Scilly Isles (Nel circoletto blu il luogo dell’affondamento della “HMS Association”

2)    La HMS Eagle una nave da guerra di terza classe armata con 70 cannoni, comandata dal Capitano Robert Hancock, urtò le “Crim Rocks” ed affondò con tutte le persone a bordo sulle “Tearing Ledge” (una pericolosa scogliera,  appartenente alle “Western Rocks”). Fu stimato che sulla HMS Eagle c’erano almeno tante persone quante ce ne erano sulla “HMS Association” che la precedeva. Non ci furono sopravvissuti, affondò ad alcune centinaia di metri dal “Bishop Rock”, il suo relitto è tuttora adagiato su di una profondità di 130 piedi ( circa 43 metri).  
3)    La HMS Romney una nave da guerra di quarta classe armata con 50 cannoni, comandata dal Capitano William Coney urtò la “Bishop Rock” ed affondò velocemente portando con se negli abissi tutti e 290 membri dell’equipaggio meno uno (inizialmente dato per disperso). L’unico fortunato superstite dei tre maggiori vascelli affondati, si chiamava George Lawrence, lavorava come macellaio prima di raggiungere l’equipaggio della Romney ed essere impiegato a bordo come furiere.
4)    La HMS Firebrand una nave da fuoco, comandata dal Capitano Francis Percy, urtò la parte esterna della “Gilstone Rock” come la HMS Association. Diversamente dalla nave ammiraglia ebbe un destino migliore, in quanto un’onda la sollevò dalle rocce, ed il comandante Percy riuscì fortunosamente a dirigere il vascello nella parte meridionale delle “Western Rocks”. fra St Agnes ed Anne affondando vicino a “Menglov Rock” perdendo ben 28 dei 40 membri dell’equipaggio.
Il numero esatto di: Ufficiali, marinai e soldati che perirono nell’affondamento delle 4 navi è incerto; alcuni documenti indicano un numero di vittime oscillanti fra 1400 ed oltre 2000, facendo di questo dramma del mare, uno dei maggiori disastri marittimi nella storia del Regno Unito.
Nei giorni successivi, molti corpi di uomini e parte dei relitti dei vascelli, vennero ritrovati spiaggiati lungo le rive delle isole, dove correnti ed onde, depositavano parti di nave ed effetti personali di coloro che erano periti così tragicamente.
Molti corpi dei marinai provenienti dai relitti, furono sotterrati sull’isola di St. Agnes. Il giorno successivo al naufragio, sull’isola di St Mary, nella baia di “Porthellick Cove” (situata a circa 7 miglia da dove giaceva il relitto della HMS Association), vennero rinvenuti i corpi: dell’ammiraglio Shovell, dei due suoi generi Narboroughs più quello del suo aiutante di bandiera Edmund Loades.
Sulla spiaggia di St.Mary, dove vennero recuperati e poi sepolti i marinai periti nel naufragio (compreso il corpo dell’ammiraglio Shovell), fu eretto un piccolo ceppo commemorativo. Successivamente, per ordine della Regina Anna, il corpo dell’Ammiraglio Shovell fu: esumato imbalsamato e trasferito a Londra, dove fu nuovamente tumulato nella abbazia di Westminster, e ricordato ai posteri con un monumento in marmo a lui dedicato.

Ceppo
                      commemorativo dei marinai periti nel naufragio
                      Monumento di marmo per Shovel
Ceppo commemorativo dei marinai periti nel naufragio        Monumento di marmo per Shovel
 

Considerazioni nautiche

Analisi delle cause del disastro:

Il passaggio a Nord dell’arcipelago delle SCILLY fu sempre oggetto di dibattiti, e discussioni fatte sia prima che dopo il disastro delle Scilly. Già nel 1700 era stato pubblicato da parte di Edmond Halley un “WARNING” sulla pericolosità di passare a nord piuttosto che a Sud delle isole
SCHILLY, passaggio talmente pericoloso per le navi, che venne descritto come: “Non senza grande pericolo, e la perdita di molte di esse”. Nel “warning”, vengono identificati 2 fattori principali:
1)    – Il non considerare a volte la variazione nel tempo della declinazione magnetica, (in quella zona, la declinazione magnetica valeva circa 7° Ovest), una differenza notevole rispetto al nord geografico; che nelle bussole magnetiche; che (per chi proviene da SW con rotta NE), porta a compiere rotte vere più spostate verso nord, e quindi verso le Scilly.
2)    – Errori nei portolani e nelle carte dell’epoca, che indicavano le isole Schilly circa 15 miglia più a Nord della loro reale posizione; onde per cui, chi si avvicinava provenendo da SW, si poteva trovare le isole di fronte, anziché alla propria sinistra
Il warning di Halley, concludeva con una raccomandazione ai naviganti, di non superare la latitudine di 40° 49’ N., in modo da potere rimanere in una area sicura, posizionata a sud delle isole
SCILLY e di capo LIZARD (Il capo più meridionale della Cornovaglia)

Isole Scilly – Capo Lizard – Port Falmouth
Isole Scilly – Capo Lizard – Port Falmouth

Un altro fattore che portava le navi ad incagliarsi sulle isole SCILLY era la presenza non documentata all’epoca del naufragio, (anche se sospettata da molti naviganti), di una corrente costante verso Nord (Corrente di Rannel), la cui esistenza fu documentata e poi confermata solamente nel secolo successivo al naufragio. Una corrente avente una intensità tale, da fare derivare una nave di 15 miglia verso nord nelle 24 ore, quindi sufficiente a mettere una nave in pericolo, se ignorata dall’equipaggio. L’aspetto pericoloso di questa corrente, è che non era sempre presente, ma a causa dei fondali modesti, si manifestava principalmente in presenza di forti venti da
Ovest o Sud Ovest, (come era stato il caso della flottiglia condotta da Shovell nell’Ottobre del 1707), venti che spingendo grandi masse d’acqua, che (in presenza di fondali modesti), acceleravano il proprio moto, trascinando con loro le navi che navigavano quelle acque, senza ignorare le correnti di marea che prendono una direzione diversa di ora in ora e possono raggiungere i 2 nodi alle sizigie.
Nel 1720 (13 anni dopo il disastro delle SCILLY), Josia Burchett scriveva: “ Non posso testimoniarlo, ma ho una realistica idea del pericolo a cui le navi sono esposte, quando provengono da nazioni estere una volta entrate nel canale inglese. In modo più specifico, quando i loro ufficiali non hanno il vantaggio di conoscere correttamente e con precisione la loro latitudine, per mezzo di una buona osservazione”.
Da questi due scritti di Edmond Halley e di Josia Burchett, si evince che ambo gli autori identificano la causa di eventuali errori commessi dagli ufficiali nella conduzione della loro nave, nella incapacità di determinare correttamente il valore della latitudine.
La conoscenza della longitudine era anche altrettanto importante per le navi che si accingevano ad entrare nel canale della Manica. Purtroppo, prima dell’avvento della navigazione astronomica, i naviganti potevano contare solamente (per determinare la longitudine), sulla misurazione del fondale tramite lo scandaglio ricoperto di grasso nella parte inferiore del peso, in quanto il peso di piombo collegato ad una sagola graduata, consentiva di misurare la profondità del luogo, ed il grasso consentiva di prelevare campioni del fondo del mare, la cui tipologia (conchiglie, sabbia, ghiaia, fango, ecc,) dava una indicazione aggiuntiva alla profondità misurata, dato che la tipologia del fondo era riportata sulla carta nautica.
Ricordando che la placca continentale si estende verso l’Oceano Atlantico, fino a circa 100 braccia (circa 180 m.), per poi precipitare velocemente a migliaia di metri di profondità.
Conseguentemente il potere misurare la profondità in un range di 100 – 150 braccia, e poterla confrontare con la posizione delle batimetriche della carta nautica locale, consentiva di conoscere approssimatamente la propria longitudine; se poi contemporaneamente, si fosse potuto rilevare e riportare anche una eventule retta di sole, la indeterminazione dell’area del punto nave sarebbe stata ancora più ristretta.

Analisi del viaggio di Shovell:

Una probabile (ma realistica) ricostruzione del percorso compiuto dalla flotta di Shovell
(considerando la partenza da Capo Spartel fino all’arrivo di fronte alle isole SCILLY nell’Ottobre 1707), è stata realizzata analizzando ed utilizzando i dati registrati sui “Giornali di bordo” delle navi superstiti.
In alcuni casi, è stato ipotizzato che le cattive condizioni meteo marine durante il viaggio, hanno interamente condizionato in modo negativo la possibilità di determinare il valore della Latitudine, anche se (ad azzerare le incertezze), il giorno prima del disastro c’è stata una sufficiente schiarita parziale, che ha consentito l’osservazione del sole, e potere quindi determinare il valore della latitudine. Bisogna comunque considerare, che la posizione calcolata di quell’ultimo punto nave, è il risultato di una media ponderata che teneva conto di molteplici osservazioni, quali: il punto stimato della nave, l’osservazione della retta di sole e la misura della profondità con annesso tipo di fondale.
Nella mappa seguente, il disco pieno in blu, indica la posizione più probabile del 21 Ottobre, come scritto sopra. Il cerchio blu, indica la posizione stimata della HMS Oxford quando il 22 Ottobre era ferma con il resto della flotta, in attesa di istruzioni, prima che ripartissero per l’ultimo e fatale tratto. La linea rossa indica la latitudine di 49°40’N. raccomandata dal warning di Halley, quale limite massimo settentrionale per entrare nel canale della Manica.
La rotta percorsa negli ultimi 2 giorni dalla flotta di Shovell nell’ultimo fatale tratto, deve essere stata chiaramente per ENE, questa è una indicazione che molto probabilmente Shovell e gli altri ufficiali, ignoravano di essere troppo a Nord, per decidere di continuare a navigare lungo con una rotta per ENE, quindi questa rotta suggerisce che molto probabilmente fu commesso un errore nella determinazione della Latitudine il 21 Ottobre.
Nell’analisi fatta in seguito al disastro, fu anche notato che la determinazione dei valori della
Latitudine erano molto più accurati di quelli della longitudine, anche se comunque c’era una approssimazione di 40 miglia nautiche (0°40’) sui valori delle Latitudini trovate dai vari ufficiali delle varie navi.

Probabile rotta compiuta dalla flotta
                      dell’Ammiraglio Shovell
Probabile rotta compiuta dalla flotta dell’Ammiraglio Shovell

La “HMS Orford” e le annotazioni del sottotenente Lochard, sopravvissero al disastro al contrario di quelle della “HMS Association”, quindi non c’è la certezza di avere le informazioni in possesso dell’Ammiraglio Shovel. Il risultato delle conclusioni relative al Punto Nave, a cui pervennero i vari comandanti, durante la riunione tenutasi a bordo della “HMS Association” fa parte delle grandi incognite di questo disastro navale. Ad ogni modo, dopo la riunione, l’Ammiraglio Shovell decise di partire comunque con:
a)    Una situazione di scarsa visibilità
b)    Al tramonto con il buio incipiente,
c)    Rotta ENE, quindi essendo convinto di essere abbastanza a sud delle Scilly.
[Osservazione personale: Qualunque navigante, sa benissimo che navigare con il buio di notte vicino alla costa è sempre sconsigliabile, un tipo di navigazione notturna che viene compiuto solo se ci sono eccezionali e validi motivi per correre il rischio. Non si hanno notizie sulle quantità delle scorte viveri o di acqua rimasti a bordo delle navi, ma all’epoca del naufragio, da Gibilterra a Portsmouth per compiere la distanza di circa 1600 miglia, i velieri (che viaggiavano a circa 8 nodi), ci impiegavano mediamente circa 8 giorni, mentre la flotta di Shovell aveva già compiuto dal 29 Settembre (giorno della partenza da Gibilterra) ben 22 giorni di navigazione senza soste, quasi il triplo del periodo stimato, quindi è logico che l’ammiraglio Shovell potesse avere fretta di arrivare a Portsmouth, e nel caso avesse ritenuto di essere più a Sud Ovest, pensava di potere arrivare alle isole Scilly in sicurezza con le prime luci del mattino, magari pianificando addirittura una sosta (oppure mandando una nave della flotta) a fare rifornimento viveri ed acqua, per la flotta stessa].
Il capitano della Torbay scrisse sul giornale di bordo “Noi eravamo molto più a Nord di quanto ci si potesse immaginare, e molto probabilmente anche più ad est”.

Analisi dello stato dell’arte della navigazione

Mentre non è possibile dimostrare la correttezza delle asserzioni di Dava SHOBEL (una scrittrice scientifica statunitense che nel suo saggio “Longitudine”, racconta la storia dell’orologiaio John Harrison), che imputava come causa del disastro, un errore commesso sulla determinazione della longitudine. Il disastro navale della flotta inglese alle Scilly creò grande costernazione nella nazione, soprattutto perché era stato consumato nelle acque inglesi, e stava evidenziando evidenti lacune nella Royal Navy, nello stato dell’arte della tecnologia in supporto alla navigazione.
La Royal Navy portò davanti alla Corte Marziale i pochi ufficiali rimasti che erano scampati al naufragio della “HMS Firebrand”, ma dato che nessun altro ufficiale (delle altre tre navi affondate), si era salvato dal naufragio, non fu istruita nessuna altra corte marziale.
A seguito della denuncia del capitano della Lenox, che indicava nel malfunzionamento delle bussole magnetiche una possibile causa del disastro, fu inoltre condotta dalla Royal Navy una ispezione e controllo dello stato di funzionamento delle bussole magnetiche delle navi scampate al disastro, che erano ormeggiate nelle basi di Chatham e Portsmouth, a titolo di esempio sulle navi ormeggiate a Portsmouth solamente 4 (delle 112 bussole verificate), furono trovate in grado di funzionare decentemente.
Dai risultati delle varie inchieste, fu evidente che prima che si potesse ritenere sicuro inviare delle navi a navigare in acque lontane e/o pericolose, erano assolutamente necessari interventi urgenti sulla strumentazione tecnica ed attrezzatura. Considerando che agli inizi del 1700, il numero delle navigazioni transoceaniche stavano aumentando in maniera considerevole, fu evidente che fosse necessario cercare di attrezzare adeguatamente le navi destinate a tale tipo di navigazione per renderla sicura ed affidabile.

Flavio SCOPINICH


  
MARINAI E PORTUALI SCRITTORI

Non ci sono solo scrittori che rappresentano la cultura pubblica, se così vogliamo chiamarla; ci sono categorie di persone che descrivono il loro lavoro, il loro ambiente, forti della loro tradizione storica, usando il linguaggio e lo stile  dei loro mestieri che diventano narrativa, romanzi, saggi. Sono gli uomini di mare e di porto, lavoro e letteratura che si fondono nella nostra storia marinara, in particolare di quella ligure.

Il 18 marzo 2008 fui invitato alla Casa del Mare a Santa Margherita Ligure
a tenere una conversazione sul tema “Vivere il Mare, Realtà e fantasia tra lavoro e letteratura”.
L’incontro si svolgeva nell’ambito del ciclo culturale Vivere il Mare che Marco Delpino, l’ideatore della Tigulliana,  promuove da qualche anno con la pubblicazione di pregevoli volumi e con la rivista omonima. Ripresi l'argomento anche sul periodico Vita e Mare del luglio 2014 edito dal dicembre 1965 a Genova dal Collegio Nazionale dei capitani marittimi, l'unico giornale della gente di mare . Articoli che ho cercato di aggiornare e condensare per A Compagna ( nei limiti di spazio ) in questo interessante percorso che mette insieme uomini e cultura delle navi e delle banchine.

C’era un armatore genovese che guardava tutti i giorni dalla finestra di casa la sua nave in disarmo dal 1964 sotto la Lanterna; quella nave aveva fatto la fortuna della famiglia, era un bastimento di sessant’anni pronto a partire…. Nel 1971,  prendendo  spunto  da questa storia, scrissi un articolo per Il Secolo XIX intitolato “da sette anni nel  nostro porto una nave che non vuole morire”.
Lei si chiamava Cor Jesu. Qualche settimana dopo l'uscita del giornale, forse per la scoperta di questo sentimento segreto dell'armatore,  la nave fu mandata alla demolizione e io mi sento ancora oggi responsabile di questa  drastica conclusione.
Navi che parlano, urlano, s’indignano prima di venire fatte a pezzi in luride spiagge asiatiche  non sono leggende perché questi corpi apparentemente vuoti hanno un’anima ; quella che progettisti, costruttori, capitani e armatori trasmettono alle loro barche, alle loro  navi, attraverso i loro sensi, la loro intelligenza, vivendo insieme e dentro il loro corpo.
Forse non c’è bisogno  di studiare come dare il soffio della vita ai robot quando gli uomini hanno sempre costruito  macchine con l’anima.  Rudyard  Kipling  collocava il cuore, un vero cuore come il nostro, nelle macchine della nave .

Vivere il Mare significa navigazione, scienza, tecnologia attraverso il progresso culturale, civile e sociale dell’umanità, significa soprattutto lavoro.
Molti dei  bravissimi comandanti di velieri  non sapevano nuotare e il loro pensiero, lo sguardo, l’obiettivo era, oltre che  portare a destino nave e carico,  la loro terra e la loro famiglia.
La realtà a terra ha superato la fantasia; in mare nonostante le profanazioni ( nello sfruttamento dei fondali e la rapina sui relitti ) c’è ancora molto da scoprire.
Quando si parla di mare si caricano spesso le parole di ambiguità e di retorica che non contribuiscono alla sua conoscenza culturale, scientifica e del lavoro nell’industria marittima come insostituibile via di comunicazione. La parola è una “parabola”  attorno al mondo e alla sua storia, affermava un  matematico.
Un'opinione autorevole, forse un po’ radicale, riportata su un quotidiano nazionale, sostiene che “ la presenza del mare nella letteratura italiana, a parte le espressioni dei viaggiatori, registra un fatto singolare e contradditorio: il mare non c’è “. Per meglio dire,  non c’è un mare fisico direttamente conosciuto, almeno sino alla fine dell’Ottocento, nonostante che il mare sia in realtà una delle voci a più alta frequenza della nostra letteratura con  le  relazioni dei viaggiatori (nel ‘600/700 ) e un intero ‘900  in cui  il mare vive nelle pagine una certa intensità anche poetica.

Il mondo del mare ci riserva delle sorprese: gli uomini di mare  sono anche scrittori.

Il linguaggio  marino  si era diffuso ovunque tramite gli  intrepidi navigatori che si rivelarono ottimi descrittori di viaggi.
Secondo la critica americana,  la letteratura moderna nacque dallo stile delle scritture dei libri di bordo dei comandanti americani dall’inizio alla fine dell’800; in particolare  cinque comandanti, Amasa Delano, 1817, Edmund Fanning, 1833, Richard Cleveland, 1842, Gorge Coggeshall, 1844, Ioshua Slocum, 1890, che fu anche il primo navigatore solitario intorno al mondo con lo Spray nel 1888.
 Le  descrizioni dei viaggi di scoperta nei giornali di bordo  divennero successi letterari   pubblicati da editori illuminati e crearono  negli Stati Uniti un genere letterario.
Questi marinai,  navigatori e commercianti ( merchant navigator ) < sapevano scrivere con abilità stilistica e sintattica i resoconti dei loro viaggi, rappresentando in modo naturale quel tipico soggetto ( che dilagò nella letteratura americana) che è l’uomo completo, l’uomo d’azione>.  Che cosa li spingeva a scrivere ?
Erano abituati a tenere i libri di bordo, i Log Book, e usare con oculatezza professionale le parole nella prosa dallo  stile semplice e diretto  avendo, nei lunghi viaggi,   il tempo di scrivere.  E leggevano molto, si dice che il capitano Joshua Slocum partì  una volta con 500 libri.  Erano  marinai addestrati all’osservazione della navigazione e usavano il linguaggio più adatto a trascrivere le osservazioni stesse, creando, al di là delle normali trascrizioni della navigazione e dei fatti di bordo, questo loro unico stile . Secondo  Mark Twain “ la migliore scuola per uno scrittore era quella frequentata da lui stesso: pilotare un battello a vapore sul Mississipi”.
Esisteva  un legame tra navigare e scrivere, ed è quello che vogliamo dimostrare, soprattutto tra i naviganti liguri, menzionando episodi e persone della nostra terra negli ultimi cinquant'anni.

Il 19 giugno 1964, il Comune di San Remo in collaborazione con la Marina Militare, aveva istituito un Premio, La Polena della Bravura, con l’intento di dare agli uomini di mare di tutto il mondo qualcosa che essi finora non avevano avuto. Vittorio G. Rossi, che aveva scritto il bando e faceva parte della giuria esaltava “ la misura di quella qualità imponderabile e anche difficilmente definibile dell’uomo di mare, che è il suo spirito marinaresco, che lo fa diverso da tutti gli altri uomini, distingue il suo mestiere da tutti gli altri mestieri e che non appartiene che a lui.”
 
RossiFatti  ed episodi  di capitani scrittori liguri

Il Club dei Capitani di Mare, fondato nel 1969, ma ormai da tanti anni non più attivo, aveva, oltre alla Corona Navale, premio Coraggio sui mari di romana antica memoria, organizzato nel 1977 un premio di narrativa intitolato Il Mare  indirizzato solo ai naviganti.
La giuria era presieduta da Vittorio G.Rossi. Lo scrittore  aveva rifiutato lusinghe di ogni genere da un grande editore per una iniziativa analoga, ma aperta a tutti.
No, per Rossi, solo i marinai potevano scrivere di cose di mare, e aveva accettato con entusiasmo l’invito del Club dei Capitani . La cerimonia di premiazione si svolse alla Terrazza Martini di Genova nel 1977 e Rossi disse che da questo Premio dovrebbe  nascere un nuovo scrittore di mare.
Vogliamo aggiungere che la rivista dello shipping internazionale, TTM Tecnologie Trasporti Mare, organo informativo di associazioni professionali e di istituzioni di prestigio, che ha superato la soglia dei  47 anni, è stata fondata a Genova da capitani marittimi.

Il 21 marzo 1998 a Genova con scrittura da valere come atto rogato da pubblico notaro sei capitani ( Alfaro Gaetano, Andreatta Ernani, Galleano Stefano, Lucano Decio, Meriggioli Augusto, Schiaffino Prospero ) hanno stabilito di costituire in Genova una “ Associazione di Scrittori di Mare “ da considerarsi a tutti gli effetti come Ente Gestore di un bastimento virtuale denominato “ Topsails “( le vele di gabbia ).  

Per la letteratura di mare vorrei citare  il Premio di Poesia Lerici- Pea del 1971 da cui l’editore Carpena pubblicò il volume  Il mare nei poeti stranieri curato dal critico Piero Raimondi, un’antologia filtrata con un criterio di selezione molto rigoroso delle  liriche provenienti dall’Europa, le due Americhe,  Russia, Giappone . 
Nel nome del poeta ( del mare )  Giovanni Descalzo nel giugno del 1985 si tenne a Sestri Levante un dotto convegno “ Il mare nella letteratura italiana del novecento”  i cui atti furono pubblicati da Res Editrice ( Milano ) a cura di Mario Dentone e Giancarlo Borri con gli interventi di Giorgio Bàrberi Squarotti, Elena Bono, Giancarlo Borri, Mario Dentone, Adriano Guerrini, Stefano Jacomuzzi . 

Il linguaggio del porto

Una nota a parte merita Dario Dondero, di Moneglia, marinaio e portuale dalla spiccata personalità, studioso e poeta anche dialettale        (Appeso ai quattro angoli del vento, Ciao Mare, Chi non sa navegà, Bandea gianca) che imprime nelle sue liriche il  ritmo di Whitman e Melville. Arte dei barcaioli a Genova
Il suo libro L’arte dei Barcaioli a Genova ( dal sec. XV al sec. XIX ), graphos, 1996, è un documentato testo delle categorie del porto che fecero la storia della “ Superba”. Dondero,  profondo cultore della lingua e del linguaggio marinaresco e portuale, stava preparando in proposito un dizionario enciclopedico marinaresco, purtroppo interrotto per la sua morte. Scrisse: In materia di linguaggio il porto è stato uno straordinario e sorprendente laboratorio... A questo compito hanno più volte collaborato con i loro scritti portuali i magistrati della Repubblica di Genova, noti come Conservatori del Mare, già  Salvatori del Porto e del Molo ( sec. XIII ).
La lingua si può dividere in lessico che determina il rapporto etimologico tra nome e significato e in gergo, definito più  una lingua ermetica usata da  comunità di mestieri, come i Barcaioli, (Dondero), una categoria eterogenea che concorse dal XV al XIX secolo allo sviluppo del porto di Genova. Erano chiamati  barbi, diventati col  tempo anche imprenditori, il cui linguaggio è ricco di parole straniere arabe, latine, inglesi, francesi. Il glossario nautico, scandito nella parlata degli operatori, può diventare  divertente, ad esempio  gru, cicale, grilli, piede di pollo, cavallino, salmone corrispondono a oggetti, nodi, misure, architetture marinareschi. Secondo Dario Dondero, che stava ultimando il dizionario del porto,  esiste anche il “mal di porto” che prende chi si avvicina e si occupa delle banchine oltre che delle stive delle navi.
Vivere il Mare significa dunque parlare anche un’altra lingua?  Direi di sì. La lingua del mare a bordo dei velieri, oltre che essere un linguaggio di lavoro, è  ricca di vocaboli e di vivaci  fraseologie per comunicare  tra navi e tra uomini.

Alcuni personaggi

Mario Dentone, Moneglia, una vita nella cantieristica ligure, scrittore di romanzi storici e di teatro, la trilogia Il padrone delle onde, Il cacciatore di orizzonti, Il signore delle burrasche    ambientato nell’ottocento fra velieri oceanici e leudi della Liguria.
Flavio Serafini, comandante, direttore del Museo Marinaro di Imperia, fecondo autore di  opere storiche della vela e della navigazione, tra cui Capo Horn, Ponte di Comando, Storia del Patria, editore Giraudo, La flotta scomparsa “ ( Storia degli armamenti velici viareggini). Dario Lanzardo, riscoperto con il suo romanzo Il principio di Archimede (2009, Effigie edizioni), e L'ombra della Gulfstream, 2010, saggista e fotografo, un intellettuale, che  proviene dall’Istituto Nautico di La Spezia con esperienze a bordo di Liberty anni ’50.
Sottolineo, per me una bibbia, Il libro del Mare di G.A.Bandini, Ed.Trevisini, 1954, 700 pagine,  un’ antologia di poesie e racconti  del mare di ogni epoca . Giuseppe Garibaldi era anche un ottimo scrittore oltre che capitano di bastimenti. Negli anni cinquanta è stato il testo su cui i futuri capitani marittimi genovesi hanno sognato i loro viaggi e imparato la lingua italiana attraverso una buona letteratura di mare.
La produzione letteraria del Museo Gio Bono Ferrari di Camogli, soprattutto sotto la direzione  del comandante Pro Schiaffino ( capitano scrittore ), oggi del comandante Bruno Sacella, è prodiga di testimonianze di fatti conservati  nei Quaderni e nei libri di bordo.       
parlar camallo parlar marinaio
Pro Schiaffino e il  museo sono diventati un cult di letteratura di mare,  letteratura che non è inventata, che presenta protagonisti e navi che “si raccontano”. Un lavoro meticoloso  esteso a tutta la marineria italiana. Pro Schiaffino comandante ( già citato ) manager, prolifico scrittore e cultore di storia marinara,  Parlar camallo, Parlar marinaio, Storia degli armatori genovesi del’900, Editrice Genovese, Quando il mare racconta, e tanti altri titoli dove l'humor, l'esperienza, la fantasia sono i suoi caratteri letterari somatici.   Da pochi reperti è nato un bel museo a Chiavari fondato dal comandante Ernani Andreatta  oggi polo di attrazione del levante genovese fino a La Spezia dove il Museo della Marina militare è una sede storica insostituibile.

Capisco che citare il Galata Museo del Mare di Genova, uno dei più importanti d’Europa e liquidarlo in due righe può essere quasi offensivo; d’altronde dal suo Direttore, Pierangelo Campodonico, figlio d’arte, proveniente dall’Istituto Nautico, abbiamo pagine di scritti di storia navale, e i programmi attorno a questo speciale Museo  sono di respiro internazionale. Un luogo aperto nella Darsena di Genova, propulsore di cultura e di iniziative  in collaborazione con l’Associazione Promotori Musei del Mare presieduto da un uomo di mare, Roberto Giorgi.

Ovunque ti muovi, scavi, fai ricerche  scopri quanto sia stato scritto e quante testimonianze sono rimaste dalla gente di mare., soprattutto liguri.
Per quanto sia sbrigativo, e purtroppo col rischio di omissioni, ho pensato di fare un  elenco  di titoli e autori capitani, Comandanti, Direttori di Macchine, che hanno scritto libri pubblicati dopo il 1950 dove è forte la componente della terra ligure.  Il mare viene celebrato come un mondo che impone sacrifici e un lavoro che si rapporta con la natura, con la nave e con gli uomini che la governano, ma molto gratificante sul piano umano perché regge solo per una forte motivazione interiore, ricco di fantasia realizzata da una realtà superata nei comportamenti e nella quotidianità.

Capitani scrittori liguri

Giuseppe Comotto, Quando il vento ci portava, 1962, auspice Lega Navale Italiana;  Gaetano Alfaro,  Il servizio giapponese, 1998, Il comandante del Vulcano, 1994, Lo Faro editore, Lauro, una storia, un mito e libri di poesie; Augusto Meriggioli,  Di mare e dintorni,2003,SF,  Guida per il Manager del mare,1991, APCM, Manuale per l’esercizio delle navi cisterna, 1983 Hoepli, Il ritorno dei pirati, 2000, Frilli Ed. ; Piero Buatier de  Mongeot  L’ultimo dei transatlantici, 2002, Le Mani-Microart’s; Dobrillo Dupuis, autore di libri storici della marina mercantile italiana nella 2a guerra  mondiale tra cui La flotta bianca, Arcipelaghi in fiamme, Forzate il blocco editi da Mursia  ;
Giovanni Sbisà, I colossi del mare, 2004, Frilli ed. La scia della nave,2007, Frilli ed., Tempeste e Champagne,1997, Grafica LP ; Angelo Mignone, Colpi di mare Canti di sirene, 1999, Grafica LP ; Aldo Baffo, Dal clipper  alla Liberty, 2004, 2005 versione inglese, Frilli ed., Navigando su mari lontani, 2007, Frilli ed.; Guido Badano, Ricordi di un capitano, 1992, Nuova  Genovese; Norberto Biso, I vivi, i morti, i naviganti, Longanesi, 1994; Silvano Masini e Gian Luigi Maggi, 2006, Caroggio editore, Storia dell’automazione navale e dintorni (  l’evoluzione tecnologica e umana della nave negli ultimi 40 anni); Massimo Zubboli,  La nave bianca, 2005, Minerva, La bianca casa sulla scogliera, Ricordi lontani di viaggi lontani,2002, Storie di mare e di eroi, 2009, Minerva ed.Assisi; Ferruccio Falconi, Invito al mare, 2002, CAM Idrografica,  e Grazie Venezia 2013, ( centinaia di articoli per la sicurezza e la salvaguardia dell’ambiente);  Ariel Canzani D., ( argentino, comandante, lo cito tra gli italiani perchè era di casa nel porto di Genova anni’60, poeta di primaria grandezza non solo nella sua nazione), conservo con dedica El Payaso del Incendio, Losada, 1965; Domenico Biaggini, Memorie di un vecchio marittimo,2002, Soc. M.S. Lerici ; Gianni Caratelli,1968, La Scuola ed.,  Barra tutta a dritta; Franco Bagnoli, Premio Viareggio con Inverno Nord Atlantico,1966, Mondadori;  Franco Fenucci, Carrette, 1971, Rebellato; Stefano Giacobbe, La Saga, 2006, Grafica DGS; Stefano Galleano,  Piloti della Lanterna, 1996, Nuova Editrice Genovese; Marco Ferrari, I sogni di Tristan, 1995, Sellerio e Grand Hotel Oceano, 1996,Sellerio; Dino Emanuelli, Cento donne sotto coperta, In crociera siamo tutti capitani,1979 ed. Mursia, ( eccellente comunicatore con le trasmissioni radio e poi tv Onda Verde Mare, Pianeta Mare), fondatore dell’Accademia di Marina Mercantile di Genova, autore dell’Inno della marina mercantile. Lasciatemi ricordare il sottoscritto, per dovere di cronaca, capitano, insegnante, editore e  direttore di riviste, autore di undici libri tra cui, Un po’ di oceano negli occhi,1984, L’Autom.Navale, Però il porto è ancora quello, 2001, De Ferrari, La congiura del Padre,1994, L’Aut.Nav., L’odissea del Foscolo,2003, L’Aut.Nav., Marrubbio, 2006,  ( all. alla rivista TTM), Parlavi coi venti e con Dio, 2010 e Piccola Antologia di Vittorio G. Rossi, 2013, edito dalla Libreria del Mare di Roma.
Alex Stefani,  bravissimo nella narrazione noir,  Il destino di Valeria, 1998, Ed. Genovese, Camera 311,  2007, Frilli Ed., Il mio mestiere sono i guai 2013 ed. Europa, L'ultima notte. 2016, Pegasus;   Guido Barbazza, capitano, ingegnere,  Salvate il Generale!, 2008, Frilli Ed., Il diavolo all’Acquasanta, 2010, De Ferrari, Rewind, De Ferrari, Uomini neri, 2013, Magenes, Il genovese volante, 2017.
Carlo Gatti, Quelli del R/M Vortice, Genova, Storie di navi e salvataggi, 2003, Nuova Editrice Genovese ; i marconisti Emilio Carta, Bandiera Gialla, colera a bordo, 2009, Magenes, Il segreto di Cala dell’Oro,2007, Magenes e Ugo Dodero, con il suo L'ultimo viaggio della liberty ship Elena Parodi, 2013;  Alberto Gatti, La ballata del lupo di mare, 2008, Mursia .
Nel 2013 Armando Editore pubblica La flotta che visse due volte, Storia delle navi di Achille Lauro di Tobia Costagliola, già Capitano sulle navi di Lauro  e poi Chartering Manager del Gruppo, ben radicato in Liguria,  800 pagine di storia marinara del Novecento, scritto con  passione documentale ed emotiva, un romanzo  classico. Nel 2015 il comandante Gaetano Mortola pubblica Navicare necesse est,  la autobiografia di un capitano, professionista del mondo delle petroliere, che racconta 50 anni di colpi di mare e di vita  di bordo.
Gianfranco Carta, Il giro del mondo in 80 ( +80 ) giorni,2002, Erga edizioni;Giorgio Grosso, Mal del Mare, 2007, Frilli ed., Le grandi sfide, 2007, Frilli Ed. un libro da consultare come una enciclopedia.   L'ultima scialuppa, Eugenio Giannini, Mursia, 2016.
Aldo Mascolo con Dalla finestra sul mare e Diario e avventure di un uomo di mare, 2011, navi, vita di bordo, storia autobiografica della nostra marina, documenti inediti tra passeggeri e storiche navi da crociera.                

Molta parte della grande letteratura è stata scritta a tavolino.
 Noi  ci atteniamo pervicacemente all’assunto che chi non ha provato e vissuto non può scrivere di mare e di uomini di mare.
 Il saper descrivere con forza drammatica e autoironica ambiente e stati d’animo di questi capitani  non è minore, se non nella tessitura di trame, dei grandi narratori di mare del passato: da Kipling a Conrad, da Melville a Poe a Pierre Loti, a Stevenson…
Di questo mondo che oggi non esiste più, uno dei più autorevoli studiosi è stato Danilo Cabona, custode di fatti, personaggi, verità del porto di Genova, dei traffici nel Mediterraneo, di chi viveva il mare e lo egemonizzava.
Il Porto Vecchio a Genova è stato trasformato in una fiera, il linguaggio sotto le enormi gru dei terminal contenitori non è più quello del mare, è un gergo contaminato da usi commerciali attuali.
Non a caso, affermava pragmatico Cabona, Diderot nella sua Enciclopedia  sostenne che il progresso annulla il ricordo, le storie del nostro passato…
Cabona ha curato come capo dell'ufficio storico del Consorzio del Porto di Genova magnifici volumi di testimonianze delle attività portuali
Oggi la lingua del mare è la lingua inglese, non solo perché  usata dagli addetti ai lavori, ma per convenzione internazionale, e all’uomo di mare è richiesta la sua conoscenza perfetta.

Dobbiamo prendere atto che gli uomini di mare non scrivono più, le cause possono essere diverse : troppa burocrazia? Troppa tecnologia a bordo? La comunicazione digitale ha soppiantato l'ispirazione delle lettere ? Chi lo sa.
Le ultime pagine di “ scrittori del mare “ liguri  sono dei capitani genovesi diplomati all'Istituto Nautico San Giorgio di Genova in occasione nel 2016 del bicentenario dell'istruzione nautica in Italia.  Il libro s'intitola  “Navigando sul Mare dei Ricordi “ edito dall' Associazione Ex allievi dell'Istituto, una quarantina di testimonianze della vita passata su tutti i tipi di navi e su tutti i mari . Un forte suggello di genovesità.  Il secondo volume, Il mio Nautico,  coordinato dal comandante Flavio Serafini di Imperia, già citato nel  nostro breve saggio, è edito  dall'associazione ex allievi di questo Istituto Nautico .
Tutt'e due volumi trasbordano spirito e braccia liguri, ancora tante fotografie, ricordi, racconti suggestivi in prima persona.
Un lascito morale e intellettuale per le generazioni future, per la nostra Liguria, ma anche un invito a non abbandonare questo filone letterario di letteratura e lavoro.

di Decio Lucano                   dalla rivista A Compagna,  luglio 2017                          

Storia, 79 anni fa

Voglio iniziare con una storia di guerra che abbiamo pubblicato qualche anno fa (1998-2003) in due volumi editi da L’Automazione Navale e rimbalzato in sintesi sul nostro DL NEWS. E’ una storia drammatica finita senza vittime nel centro della più cruenta battaglia della seconda guerra mondiale, Dunquerque, dopo il naufragio della loro nave bombardata da aerei tedeschi.

LE PIU’ DRAMMATICHE PAGINE DELLA NOSTRA MARINA MERCANTILE NELLA SECONDA GUERRA

Foscolo

L’ODISSEA DEL FOSCOLO

L’odissea di un equipaggio della marina mercantile italiana all’inizio della seconda guerra mondiale nell’inferno di Dunqerque

“La disciplina è molto più importante del coraggio, il coraggio è carnale; la carne che cede alla paura oppure si rifiuta; la disciplina riguarda l’uomo tutto intero“
scriveva Vittorio G. Rossi, uno scrittore che aveva scavato a fondo l’animo umano in tempo di pace e di guerra, soprattutto gli uomini di mare.
“Il mare non insegna solo un mestiere, diceva, insegna a essere un uomo “.


C’è una storia forse unica e originale che riguarda un equipaggio della Marina mercantile italiana, prima dell’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940,  che si svolge tra le campagne e le città del Belgio e della Francia devastate dalle armate tedesche.
Le navi mercantili italiane dal settembre 1939, pur essendo l’Italia neutrale, erano sottoposte nell’Atlantico, nel Mare del Nord, la Manica, il Baltico ad attacchi aerei o correvano il rischio di saltare in aria sui  banchi di mine.
Il piroscafo Foscolo della Tirrenia, 35 uomini, proveniva da Fiume, Pola, località dell’Istria, isole del Quarnaro e Dalmazia. Era un equipaggio italiano perché allora Istria, Fiume e  Dalmazia erano territorio dello stato italiano.
Costruito a Glasgow nel 1919, 3.059 tonnellate di stazza lorda, il Foscolo fu acquistato nel 1934 dall’Adria di Fiume, società fusa nella Tirrenia nel 1936.
Era partito per il viaggio di linea da Fiume il 18 marzo 1940, dopo aver caricato in diversi porti italiani e spagnoli, per Rotterdam e Anversa che raggiunse nei primi giorni di maggio dopo alcune soste dove furono effettuati severi controlli da parte degli inglesi a Gibilterra e nella Manica.
Era l’ultima nave da carico italiana di linea a lasciare il Mediterraneo.

Nella prima pagina dell’estratto del Giornale Nautico del 15 maggio 1940 il comandante scriveva: “Alle 4:30 si parte da Anversa diretti a Genova secondo gli ordini ricevuti dalle Autorità consolari. Oltre all’equipaggio si trovano a bordo da lunedì sera otto connazionali di cui tre donne e due bambini, portati a bordo dal R.Console comm. Cuneo in persona, per rimpatriarli, date le circostanze del momento. Tutti muniti di passaporto italiano e lettera consolare di accompagnamento. Si parte col piroscafo in perfette condizioni di navigazione e con tutti i mezzi di salvataggio efficienti e pronti all’uso. Date le eccezionali contingenze del momento e per maggior sicurezza già nei giorni precedenti alla partenza, si ebbe cura di pitturare la bandiera nazionale anche sulle altre due boccaporte in tutta la loro superficie. Attraversati i docks del porto di Anversa col pilota, si entra nella chiuse di Kruisschans alle 6:00 circa. Cambiato il pilota alle 7:00 circa si esce dalla chiusa ed ha inizio la navigazione lungo la Schelda. Come di intesa con le nostre autorità e rispettivi capitani si procede navigando in vista degli altri piroscafi nazionali A. Locatelli e Fidelitas.
Giunti all’altezza di Bat una scarica di proiettili di cannone viene a cadere in prossimità della nostra prua e fianco sinistro senza arrecare danni all’infuori di abbondanti cadute di schegge sulla coperta.”
Il 10 maggio 1940 l’offensiva militare germanica aveva aggirato la linea Maginot (una trincea che si estendeva dalla Svizzera seguendo il confine tra la Francia e la Germania). In pochi giorni Olanda e Belgio dovettero arrendersi  mentre un intero corpo di spedizione britannico fu costretto a ripiegare su Dunqerque. I  soldati inglesi in fuga, abbandonate le armi pesanti, affluirono sulla spiaggia di questa città cercando di mettersi in salvo sulle centinaia di mezzi nautici e navali che erano generosamente accorsi dall’Inghilterra.
Abbiamo davanti agli occhi i barconi e le imbarcazioni precarie di fuggitivi dall’Africa del Nord, quelli che si sono salvati dai tanti naufragi. Migliaia di profughi con i soli vestiti addosso, dopo aver affrontato in terraferma lunghi percorsi tra guerre e rischi di ogni genere, sono stati soccorsi e accolti dalle nostre autorità e dalla benevolenza delle nostre popolazioni isolane.
Qualcosa di simile, forse peggio, stava capitando all’equipaggio del Foscolo dopo la partenza da Anversa. Ma seguiamo la loro storia.

All’altezza di Knokke, Belgio, il 15 maggio il convoglio con il Foscolo segue le rotte per evitare i campi minati verso la Manica. Intorno alle quattordici il piroscafo  subisce un  attacco dei cacciabombardieri germanici. Nonostante le abili evoluzioni per evitare le bombe, alcuni ordigni pur non centrando la nave cadono così vicino alla scafo da sconquassarlo e aprire delle falle nell’opera viva. La nave,  danneggiata, si adagerà sul basso fondale.
 “All’interno della nave la distruzione è gravissima” scrive il comandante sul Giornale Nautico, ma, tranne qualche contusione, a bordo sono tutti salvi.
Viene dato l’ordine di abbandonare la nave. Prima una lancia con i passeggeri e alcuni marinai, poi l’altra con a bordo il resto dell’equipaggio, si dirigono e sbarcano sulla  costa belga nel porto di Zeebrugge, non senza il rischio di essere centrati dagli inflessibili caccia tedeschi che sorvolano inflessibili i convogli.
I passeggeri vengono affidati all’Agente Consolare italiano, ma il comandante col primo ufficiale e il secondo di macchina compiono su di un peschereccio una ricognizione del relitto per verificarne le condizioni.
Era giovedì 16 maggio, sfidando il mare agitato, gli aerei che volteggiano minacciosi e le mine dietro le creste delle onde, riescono ad affiancare la nave e salirvi.
Il cassero ha le lamiere divelte, i locali semidistrutti, riescono a recuperare i libretti di navigazione che erano in una valigetta sempre pronta all’evenienza, ma non i  libri di bordo. Il Foscolo sta lentamente coricandosi sul fianco destro  (scriverà il comandante),  la nave è perduta e i tre ufficiali ritornano verso Zeebrugge.
Ancora prima di arrivare in porto, vedono il Foscolo affondare.
 “Il relitto trovasi affondato a miglia tre circa, fuori Knokke, aggiunge il comandante nel suo giornale nautico, diventato un quaderno dalla copertina nera, vidimato dall’Agenzia Consolare di Ostenda.
Naufraghi a terra, con il solo vestito addosso, senza soldi, in terra straniera l’equipaggio comincia una navigazione che durerà fino al 9 giugno 1940, mantenendo inalterata come a bordo la disciplina attorno al suo comandante. Non più per mare ma per terra, in un’area geografica che è ricordata nella cronaca della seconda guerra mondiale come tra le più cruente e sanguinose che ha il suo epicentro nell’inferno di Dunkerque tra il 26 maggio e il 3 giugno 1940.

19 maggio 1940, il comandante scrive: “ Mi reco insieme al Reggente Console al Comando Marina belga per comunicare con le mie superiori autorità. Nulla da fare. Mi propongono come unica via d’uscita di metterci a bordo di un piroscafo lettone che si trova a Zeebrugge e ritornare in patria; ma, fatto un sopralluogo, constato la non navigabilità della nave. Dopo aver fallito questo tentativo di rimpatrio, l’agente consolare mi comunica che il suo compito era finito e m’invitava a sloggiare insieme al mio equipaggio. Partiamo in due gruppi, prelevando con regolare ricevuta all’Albergo Kursaal Casino coperte di viaggio per l’equipaggio.
La sera del 20 si giunge a Dunqerque dopo un viaggio di stenti e di peripezie.
Il reggente Console italiano era già partito, ma veniamo accolti cordialmente e tramite un sacerdote  sistemati alla buona all’Ecole Saint Joseph, un edificio scolastico accanto a un convento di suore.”
Le sorelle, assicurò il religioso, sarebbero state ben liete di ospitare gli sfortunati stranieri. In effetti la presenza dei marinai si rivelò provvidenziale perché il rifugio antiaereo era accessibile solo dalle strutture adibite a scuola. Se la struttura fosse stata bombardata,  i rifugiati (e le suore) sarebbero rimasti prigionieri delle macerie. Detto fatto, come è nell’abitudine del loro mestiere, i marinai, armati di piccone e attrezzi improvvisati, aprirono uno sbocco attraverso il muro che dava sulla strada. Il caso volle che alcuni spezzoni di uno dei continui bombardamenti aerei su Dunquerque colpissero un’area interna dell’edificio che, franando,  fece crollare l’unica uscita preesistente.
Il pertugio aperto dai marinai evitò la morte per soffocamento ai rifugiati, comprese le suore.
Impressionate e commosse dall’evento, quasi un miracolo, le suore dimostrarono la loro gratitudine dividendo le poche provviste con toccante semplicità allo stesso tavolo insieme ai  marinai. Nell’atmosfera di disperazione della città tra sirene, allarmi, stuka in picchiata, scoppi e incendi, l’equipaggio doveva resistere come se fosse stato sulla nave in un mare in tempesta.
“Si dorme nelle cantine  dove si passa parte della giornata tra allarmi continui e bombardamenti aerei”- prosegue la stringata relazione del comandante- “Vitto di miseria: pochi grammi di pane e un piatto di brodaglia.
Tramite il comando militare mando un telegramma all’Ambasciata italiana di Parigi esponendo la nostra situazione e chiedendo immediata assistenza.
Passano mercoledì e giovedì senza risposta. Vita di stenti, privazioni e pericoli, faccio nuove pratiche per ottenere approvvigionamenti avendo esaurito ogni scorta”.
Una maestrina della città, che insegnava nell’istituto delle suore, venuta a conoscenza del  “miracolo”, ottenne l’autorizzazione dal borgomastro a prelevare per l’equipaggio una volta tanto quindici pani presso il forno militare e generi alimentari nella Nouvelle Gallerie. Anche il panettiere si impietosì delle condizioni dei naufraghi, aumentando la razione di pane e dando loro anche un rasoio, delle lame, candele e lacci per scarpe.
Ora l’equipaggio aveva tre rasoi; un lusso nell’ inferno della città.

“Attacchi aerei continui e incendi, ci mettiamo spesso all’opera per difendere l’edificio dal fuoco, ma nella serata di venerdì dobbiamo sloggiare d’urgenza perché le nostre cantine sono requisite dalle autorità militari  che ci fanno trasferire nei fondi  del Musèe des Beaux- Arts della città, ove si svolgerà ulteriormente la nostra vita di stenti per cui la municipalità di Dunquerque ci concede dei buoni per prelevamento di viveri per qualche giorno.
Tutti sani e molto appetito- scriverà con ottimismo il comandante. I francesi si dimostravano comprensivi e disponibili con gli italiani in quelle circostanze.
L’imponente struttura del Museo  nel cuore della città era occupata solo dall’anziano custode e dalla moglie che furono felici di non essere più soli.
Sopra le teste dei marinai, alloggiati nelle cantine, c’erano grandi sale piene di opere d’arte di scuola fiamminga, olandese, francese, italiana e la preoccupazione del custode era quella di salvare la quadreria.
La città era duramente  provata, fumo, incendi e detriti da per tutto; migliaia di soldati inglesi in ritirata continuavano ad affluire nel porto  e cercavano di imbarcarsi per Dover. Molti avevano perso i contatti con i comandi e vagavano tra le rovine, un’anarchia che toccò anche quelli del Foscolo, perché un reparto di inglesi forzò le porte per entrare nel Museo.
Con fermezza l’equipaggio riuscì a dissuadere il reparto, ma ormai i bombardamenti  avevano distrutto buona parte della città e il porto da dove si diffondeva  l’odore acre dei depositi di oli combustibili che bruciavano. Attorno al Museo gli edifici erano diventati bracieri.  Anche qui come alla scuola del convento, l’equipaggio del Foscolo rischiava la vita. Invece di pensare subito alla propria salvezza i marinai italiani si attivarono per portare al sicuro in un sotterraneo quadri, incisioni e oggetti antichi. Dieci ore di lavoro che permise di salvare il patrimonio museale in un sotterraneo tra cui dipinti di Rubens, Brughel, Magnasco, Corot e uno schizzo di Jean Bart, il celebre corsaro venerato in Francia la cui tomba si trova nella vicina chiesa gotica di S.Eloi. 
Il comandante scriveva: “Intorno tutto brucia, è impossibile rimanere in questo posto, si decide di scappare verso la campagna insieme alla famiglia del guardiano del museo”.
L’equipaggio, trentacinque figuri che assomigliavano a tutto tranne che a dei marinai, insieme ai custodi del museo, fecero rotta verso l’interno per raggiungere la cittadina di  Rosendael, ma trovando solo distruzione e fiamme ripiegarono nel territorio assediato dai tedeschi. Dopo una lunga marcia nella campagna deserta, dove la primavera inoltrata aveva riempito la natura di colori e di profumi che ripulirono i polmoni degli uomini dopo giorni di fumo acre e irrespirabile, raggiunsero una fattoria nei pressi di Tetegem.
Il comando francese concesse all’equipaggio di alloggiare per una notte in un fienile,  posto non tanto sicuro perché vicino a una batteria mobile antiaerea  sottoposta ai tiri diretti dell’artiglieria e dei bombardieri germanici.  Gli uomini del Foscolo accettarono anche questo rischio e si mantennero inquadrati e disciplinati come se fossero stati sulla loro nave.
Il cibo mancava e il rifugio si rivelò una trappola. Alcune esplosioni di cannoni  demolirono in parte il fienile: sette soldati francesi furono feriti gravemente, ma un tenente e il cappellano morirono sul colpo.
Il carpentiere del Foscolo costruì una croce di legno che fu ficcata nella terra per segnalare la loro sepoltura nella campagna.
Alla data del 31 maggio / 1 giugno il comandante annotava: “Ci troviamo fra due fuochi e senza speranza con la sola fede nel Signore. Vitto razionato e quasi sempre in pericolo di vita “
Il 2 giugno le truppe tedesche erano ormai a pochi chilometri dal rifugio degli uomini del Foscolo. I soldati francesi con i guardiani del museo decisero di scappare e lasciarono l’equipaggio in mezzo alla battaglia. Tra colpi di artiglieria e bombardamenti aerei in prima linea, stretti l’uno con l’altro, non si aspettavano più nulla, fino ad allora avevano salvato la pelle. 
Lo spirito del Foscolo li proteggeva?
“All’alba – scriveva nel suo diario il primo ufficiale – gli aerei si erano diradati e anche il fuoco germanico era cessato, segno che la resistenza franco inglese era stata eliminata”.
Era il 3 giugno 1940, c’era un  silenzio assoluto e inquietante nella campagna; poi voci umane, concitate a pochi passi dal rifugio; gli italiani si accorsero di essere circondati dalle truppe d’assalto dei tedeschi. Il comandante del Foscolo temeva che il suo equipaggio, lacero e impolverato asserragliato nella fattoria ex comando dei francesi, potesse venire scambiato dai tedeschi per un reparto dell’esercito nemico, inglesi forse, disertori o peggio. La situazione era drammatica, non si poteva rischiare di soccombere senza neppure potersi spiegare. L’Italia era o non era alleata della Germania?
Gli uomini decisero di uscire allo scoperto, le mani in alto per mostrare che erano disarmati, mentre il comandante che parlava  tedesco gridava: italiani, siamo italiani. La presenza di quello strano gruppo di sbandati tra le linee nemiche in aperta campagna non convinceva i militari tedeschi che mantenevano nervosamente i fucili spianati. Come potevano immaginare, d’altronde, che nel campo di battaglia si trovavano davanti un intero equipaggio della marina mercantile italiana?
Non c’era tempo per riflettere, il comandante del Foscolo chiese a un tenente che venissero esaminati i loro documenti (i preziosi libretti di navigazione), gli  italiani erano allineati ad un passo dalla morte sotto il tiro dei fucili dei loro alleati. Finalmente il tenente diede l’ordine di abbassare le armi. Ancora una volta quelli del Foscolo avevano trovato una buona stella.
L’incontro con i soldati tedeschi non concluse però le loro vicissitudini, perché per molti giorni condivisero la marcia con i soldati nei campi e nelle trincee fangose fino al  primo presidio dove furono subito rifocillati.
I militari avevano ricevuto ordini di portarli al comando divisione germanico. Scrive il 3 giugno il comandante del Foscolo: “Continua la vita di tribolazioni  e continui bombardamenti da batterie e aerei, ( la resistenza francese nonostante tutto era ancora attiva). Dopo peripezie infinite si passa la zona di battaglia e veniamo accolti fraternamente dai comandi tedeschi.”
Prima del rimpatrio l’8 giugno la navigazione prosegue nello scenario di desolazione e morte, con tanti imprevisti ma ormai la rotta del Foscolo continuava sicura fino a Bruxelles, Colonia e Monaco. E poi il rimpatrio.
La storia del naufragio della nave e l’odissea del suo equipaggio fecero cronaca. L’Italia appena entrata in guerra aveva bisogno di notizie in qualche modo rassicuranti, storie che infondessero fiducia nella capacità della nazione e dei suoi uomini.
Scriveva Luigi Barzini a tutta pagina su Il Popolo d’Italia il 23 giugno 1940. “Trentaquattro marinai italiani componenti l’equipaggio di una nave mercantile affondata, portati dal destino nell’inferno di Dunquerque, sfuggiti all’acqua per cadere nel fuoco, sono emersi miracolosamente salvi dalla citta-fornace dopo aver attraversato le più straordinarie e drammatiche avventure che siano mai toccate a gente di mare
“Scamiciati, stracciati, gli indumenti sporchi di fuligine e di fango, le barbe lunghe, i capelli arruffati, senza altro bagaglio che dei fagotti legati con funicelle e qualche tozzo di pane dentro la camicia, quando sono rientrati nel silenzio del mondo pacificato parevano trentaquattro classici pirati”.
Nel lungo servizio del grande giornalista Barzini non si menziona che il Foscolo fu colpito da aerei germanici, d’altra parte sarebbe stata una propaganda negativa per gli alleati dei tedeschi.
Noi preferiamo pensare, poiché crediamo all’anima delle navi, che il piroscafo Foscolo si sia immolato per salvare la vita del suo equipaggio per uno di quei patti del destino che non si sa dove avvengono, ma avvengono.
Il 10 giugno l’Italia entrava ufficialmente in guerra a fianco della Germania e quasi tutti i marinai del Foscolo furono richiamati per fare la guerra… vera.
Questa vicenda interessò la Mediterranea Film di Roma che scrisse alla Tirrenia e al comandante del Foscolo per realizzare nel 1942 un film. La situazione bellica impedì la riuscita di questa iniziativa, mentre sempre nel 1942 la Tirrenia fece costruire una unità quasi gemella, cui diede il nome di Foscolo, ai Cantieri del Quarnaro di Fiume. Purtroppo nel dicembre dello stesso anno, il Foscolo fu bombardato e affondato da cacciabombardieri inglesi a tre miglia da Capo Lilibeo in Sicilia.
Decio Lucano

Dal Libro L'odisssea del Foscolo, 1a ed. 1998
                                                          2a ed. 2003
Editore L’Automazione Navale

75 ANNI DALL'ODISSEA DEL FOSCOLO

I tre Foscolo:        1) acquistato  nel 1927 da Adria demolito nel 1933
                             2)      vedi sotto
                             3) costruito a Fiume per conto Tirrenia nel 1942 Cntiere Navale del Quarnero affondato da bombe aereo il 13 dicembere 1942 davanti a Capo Lilibeo.

Glasgow 1919  cantiere Ll0yd Royal Belge col nome Rogier 3.059 tonellate stazza lorda., macchina a triplice espanzione 1700 HP. Venduto alla  Compagnie Africaine de Navigation di Anversa con il nome Maringa, fu acquistato dall’Adria nel settembre 1934 e ribatezzato Foscolo. Verso la fine del 1936 la flotta Adria viene trasferita alla Tirrenia, 17 navi per 47.553 tonnellate di stazza lorda.

Equipaggio p.fo  Foscolo

Nel 1940 era composto da 35 persone
COGNOME
NOME
NATO A
QUALIFICA
Lucano Dario Fiume Comandante
Berlot
Vittorio Fiume Primo Uff.le
Duili
Giovanni Cherso Secondo Uff.le
Lapamje Marcello Visignano Terzo Ufficiale
Petris Leonardo Fiume Capo Macchinista
Sirola Marcello Fiume Primo Uff.le Macch.
Corradi Serafino Fiume Secondo Uff.Le di Macch.
Lenaz Raimondo Fiume Terzo Uff.le Macch.
Montagnani Massimo Roma Marconista
Galuppo Alberto Trapani Nostromo
Ivancich Francesco Fiume Carpentiere
Tominovich Giuseppe Fianona Marinaio
Bonetta Mario Fianona Marinaio
Raffa Antonio Fianona Marinaio
Francovi Raffaele Bersezio Mozzo
Peras Martino Pisino Mozzo
Risso Giuseppe Nervi Mozzo
Terdoslavi Giovanni Fianona Capo Fuochista
Fucak Narciso Fiume Op. Meccanico
Suduli Carlo Berdr Ingrassatore
Valente Mauro Molfetta Fuochista
Zulich Giuseppe Fianona Fuochista
Vlassi Vittorio Bogliano Fuochista
Zullich Pietro Fianona Fuochista
Zulich Giovanni Fianona Fuochista
Cerleni Giovanni Dragosetti Fuochista
Zvagna Carlo Cosliaco Carbonaio
Radovich Paolo Fianona Carbonaio
Latcovi Giuseppe Cosliaco Carbonaio
De Carina Rodolfo Bersezio Carbonaio
Budigna Giovanni Pola Cuoco
Crivello Andrea Palermo Secondo cuoco
Nappi Giuseppe Fianona Garzone  cucina
Lagatto Lamberto Fiume Cameriere








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"Per non dimenticare"




LA GALLERIA DI INGRESSO PALAZZO SIAT  via V Dicembre 3, Genova
come rivalutare le immagini della storia dei porti e delle navi, commentate da Decio Lucano

"Per non dimenticare "


1963 Genova, Ponte Caracciolo, operazioni di scarico da chiatta a banchina utilizzando le gru elettriche che si muovevano sui binari paralleli alle banchine. Sullo sfondo la Lanterna (Archivio Publifoto)
1963 Genoa, Ponte Caracciolo, barge-to-dock unloading operations using electric cranes moving on parallel dock tracks. In the background the "Lanterna" (the Lighthouse) (Publifoto Archive)




1957 Genova. Scriveva Vittorio G. Rossi"... la prua della nave taglia un mare sempre diverso e le due ali di schiuma si ricompongono a poppa e il mare torna mare. Come l'uomo, te lo ritrovi davanti che ti sembra non averlo mai conosciuto, ma è sempre lo stesso uomo..."  Ma per naviganti e per emigranti la scia di poppa è la scia dei ricordi, della nostalgia e della speranza.
1957 Genoa. Vittorio G. Rossi wrote "... the bow of the ship cuts through an ever-changing sea and the two wings of foam come together at the stern and the sea becomes sea again. Just like when you meet a man and you realize you’ve never met him before, but he’s always been the same man ...   "But for sailors and emigrants the stern wake is the trail of memories, nostalgia and hope.



1970 - Genova, La Torre Embriaci domina il centro storico e il porto Vecchio tra Calata Cattaneo e Ponte Embriaco. Una "neonata" sopraelevata ben mimetizzata tra bracci di gru e bighi altissimi. Il porto è in piena attivita di carico e scarico delle merci. (Archivio Publifoto)
1970 - Genoa, The Embriaci Tower dominates the old town and the Old Port between Calata Cattaneo and Ponte Embriaco. A camouflaged brand new elevated road called “Sopraelevata” runs behind crane arms and high davits. The harbour is in full swing loading and unloading goods. (Publifoto Archive)



1963 - Genova, una gru idraulica in operazione di carico e di scarico da chiatta a banchina. L' acqua in pressione partiva dall' officina centrale e arrivava, tramite tubazioni, ai mezzi di sollevamento, altri tubi riportavano l' acqua priva di pressione. C' erano chilometri di tubi nelle banchine, trentasette gru potevano funzionare contemporaneamente regolate dalla centrale. Un piccolo capolavoro di automatismo e controllo a distanza, ma per tutti saranno ricordate come gru ad acqua. Ne è rimasta una, in porto, come reperto archeologico. (Archivio Publifoto)
1963 - Genoa, a hydraulic crane is in operation as it loads and unloads from the barge to the dock. The water, which was under pressure, originated from the central workshop and ran through pipes to the lifting equipment, while other pipes carried the depressurized water away. Kilometers of pipelines were embedded in the docks, in fact, thirty-seven cranes could be operated simultaneously by the operations center. This was a small masterpiece of automation and remote control, but everyone remembers them as the water cranes. One of them is still in its place now in the port as an "archaeological finding”. (Publifoto Archive)



1964 - Genova, un pontone a bigo carica una corriera sulla coperta di una motonave. È un'operazione che si fa ancora oggi anche se quei "buchi ricoperti di nave" che sono i ro-ro, con gli ampi garage, hanno semplificato questo trasporto. (Archivio Publifoto)
1964 - Genoa, a floating derrick is loading a coach on the deck of a motor ship. Today this operation is still carried out in the same way, even though today this kind of ships become ro-ros with large garages and have simplified this type of transport. (Publifoto Archive)



1957 - Genova. La nave è in vista del porto, i boccaporti sono aperti, gru e picchi di carico pronti per le operazioni commerciali, sul castello di prua gli uomini dell'equipaggio con il primo ufficiale hanno aperto lo strozzatolo delle ancore, pronte in cubia a dare fondo e così i cavi arrotolati in coperta o sui tamburi dei verricelli o nelle bitte e gli argani per le manovre. Un rito marinaresco prima di attraccare la nave.
1957 - Genoa. The ship is in sight of the port, hatches are open, cranes and derricks ready for commercial operations, on the forecastle crewmen with the first officer have opened the doors that hold back the anchors ready to be sunk at the bottom while cables are coiled up on the deck or on the anchor windlass or on cleats and winches for rigging. A typical sailor ritual before docking the ship.



1928 - Gibilterra. Il fumaiolo che rilascia una scia di fumo delle macchine e "l'orchestra" delle maniche a vento che si orientano per catturare l'aria fredda e spingerla nei locali interni della nave. Era la ventilazione dei piroscafi di un tempo. (Archivio Publifoto)
1928 - Gibraltar. Smokestack releasing a trail of smoke from the engines and the "orchestra" of the windsocks that are oriented to capture cold air and push it to the inner quarters of the ship. This was the ventilation system of the steamers of the past. (Publifoto Archive)  



1964 - Genova, manovra di un vecchio piroscafo trainato da due rimorchiatori per l'ormeggio in andana. Forse gli ultimi sbuffi di fumo e di orgoglio prima dell'avvio alla demolizione. (Archivio Publifoto)
1964 - Genoa, manoeuvring of an old steamer towed by two tugboats heading for the mooring swath. Perhaps the last puffs of smoke and pride before her scrapping. (Publifoto Archive)



1895 - Genova. Il Porto di Genova e la collina di Carignano, dove è riconoscibile la Basilica. Sulla sinistra le pendici dei Monte Fasce, in lontananza l'inconfondibile sagoma del Promontorio di Portofino. Velieri e motovelieri in un angolo di porto pieno di chiatte cariche di carbone tra Ponte Caracciolo e Calata Sanità. Il veliero in primo piano sbarca il carbone utilizzando due passerelle su cui transitano gli scaricatori. "Operazioni commerciali" - nel linguaggio burocratico - di un porto che non c'è più. (Archivio fotografico del Comune di Genova)
I commenti alle fotografie sono a cura del Prof. Decio Lucano
1895 - Genoa. The Port of Genoa and the Carignano hill, where the Basilica is recognizable. On the left the slopes of Monte Fasce, in the distance, the unmistakeable shape of Portofino promontory. Sailing and motor-sailing ships in a port area full of barges loaded with coal between Ponte Caracciolo and Calata Sanità. The ship in the foreground unloads the coal using two gangways on which the longshoremen pass. "Commercial transactions" in a port that no longer exists. (Photo Archive of the Municipality of Genoa)
Comments on the photos by Prof. Decio Lucano   




1958 - Genova,  nave in prova di navigazione. In controplancia l'antenna del radiogoniometro e la bussola magnetica, detta normale, con le sfere per la compensazione magnetica, quasi un altare per celebrare riti antichi. A destra della bussola il portavoce per comunicare la gradazione della rosa dei venti al timoniere.
Erano alcuni strumenti dell'arte della navigazione.
1958 - Genoa, ship during a sea trial. On the navigation bridge, the radio direction finder antenna and the magnetic compass with its degaussing spheres look almost like an altar set to celebrate ancient rites. On the right of the compass the tone hole used for conveying the gradation of the compass rose to the helmsman.
These were some of the instruments of the art of navigation.  



1961 - Genova. Una "scala" particolare, quella delle immersioni o pescaggi, in numeri romani e lettura in piedi e pollici, in prossimità della ruota di prora, da dove scende la catena dell'ancora. Queste "scale" a prua, a poppa e al centro servono per misurare l'assetto della nave e per verificare il carico. Di fronte una nave proveniente da Odessa. (Archivio Publifoto)
1961 - Genoa. Draught or Immersion “scale”, in Roman numerals, to be read in feet and inches, near the stempost, where the anchor chain is plummeted. These "scales" on the bow, stern and in the middle are used to measure the trim of the vessel and to check its load. In front, a ship coming from Odessa. (Publifoto Archive)



1958 - Genova, l'emozionante momento del varo. Si dice oggi quando si inaugura una grande nave da passeggeri che questa viene "varata", ma il varo era la discesa in mare dello scafo. Un evento tecnico-marinaresco al tempo mai mondano ma pieno di apprensione, attesa e poi di gioia spesso irrefrenabile. (Archivio Publifoto)
1958 - Genoa, the exciting moment of the launch. Nowadays when a large passenger ship is inaugurated, it is "launched", but in those days the launch was the descent of the hull into the sea. A technical-nautical event which was never mundane, but full of suspence, expectation and full of overwhelming joy at the end. (Publifoto Archive)



1967 - Genova, tronchi caricati su un camion a rimorchio. Vengono dalle foreste dell'Africa occidentale rizzati in coperta, imbevuti di mare. Un carico che sollecitava la struttura delle navi facendole invecchiare presto. (Archivio Publifoto)
1967 - Genoa, tree trunks loaded on a tow truck. From West African forests, pitched on the deck, soaked by the sea. A type of cargo that over-stressed the ships structure making them age quickly. (Publifoto Archive)



1992 - Genova. È un pontone dotato di una potente gru con la benna che sembra più alta del più alto grattacielo, non è un reperto archeologico, piuttosto è un esempio di arte contemporanea dal significato più esoterico che realistico. Eppure è un prodotto della scienza dell'uomo con i suoi bracci di acciaio librati nel cielo, i cavi che si tendono e l'equilibrio calcolato dall'uomo che comanda in cabina il mostro. Oggi è diventato un teatro galleggiante. (Archivio Publifoto)
1992 - Genoa. This pontoon equipped with a powerful crane with a bucket looks taller than the tallest skyscraper, it’s not an archaeological finding, but an example of contemporary art, with a more esoterical rather than realistical meaning. Nevertheless, it’s the result of science and technology, with its steel arms hovering in the sky, stretching cables and stability calculated by the man in the cabin who controls the "beast". Today, it has become a floating theatre. (Publifoto Archive)

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Porticciolo di Nervi

Un secolo di storia per immagini
Gentile Prof. Decio Lucano, ricevo sempre puntualmente i suoi messaggi ( DL Notizie ) con gli allegati che consulto sempre piacevolmente con interesse.

Oggi voglio ricambiare con un allegato che fa parte di una iniziativa dell'Ufficio Turistico del Comune di Genova. Alcuni amici del Porticciolo hanno proposto una esposizione di immagini dalla fine del 1800 ad oggi per esporre tutti i passaggi avvenuti nella insenatura, così è nata oggi , 17 dicembre 2021,  Intanto le allego un riassuntino dei vari cartelli: se verrà a Nervi potrà vederli tutti.

buon Natale e ..avanti tutta...Fulvio Bucci  


Esaminando la struttura dell’insenatura di Nervi si ha la netta sensazione che li sia sorto il primo nucleo abitativo del “borgo”, sufficientemente distante dalla riva del mare per non subirne le offese ma con la possibilità di usufruire di un’ampia spiaggia quale ricovero dei natanti e comoda per le attività marinare e commerciali dell’epoca. Sicuramente l’arenile era molto più profondo di quanto non lo sia ai nostri giorni e soprattutto era difeso, in particolare nel versante di ponente, da una cornice di scogli che lo proteggevano dagli assalti delle onde. L’unica strada di attraversamento, da e per Genova, correva poco distante dalla riva stretta tra il mare e la “palazzata” che ne seguiva il tragitto. Era la cosiddetta “strada romana” che dalle mura di Genova volgeva verso il levante con un percorso in alcuni punti decisamente angusto con continui saliscendi e proprio a Nervi precipitava, con la “Strada dei Frati” (Via Provana di Leyni) verso il mare. Era il punto più fragile dell’intero percorso, soggetto talvolta alla furia del mare che diveniva sempre più pericoloso per l’abuso che spesso si commetteva prelevando pietre da costruzione frantumando gli scogli che difendevano l’integrità della spiaggia. Nel corso degli anni e fino all’inizio del XIX secolo, quando in epoca napoleonica si costruì la strada a monte della marina, la viabilità risultò molto precaria con continue disastrose interruzioni del percorso e la messa in pericolo delle case lungo la strada.

Fu verso la fine dell’ottocento che l’insenatura destò l’attenzione di operatori commerciali per il traffico delle granaglie dirette verso i mulini di Nervi e la movimentazione delle paste alimentari prodotte in loco e dirette all’imbarco nel porto di Genova trasportate dai “pinchi” o “latini”. Il primo intervento con la concessione del Demanio di costruire un molo di difesa partendo dalla radice delle mura di levante del Collegio Emiliani e di una banchina di attracco fu rilasciata alla Ditta dei Silos granai di Genova. L’operazione si rivelò disastrosa per la fragilità delle opere e divenne nel corso degli anni successivi estremamente pericolosa per le abitazioni lungo la marina. Altri progetti non si concretizzarono mai in qualcosa di produttivo e nello stesso tempo sicuro sia per l’abitato che per la strada e si dovette attendere i primi anni trenta quando si concretizzò la costruzione del molo che oggi vediamo. Il nuovo “porticciolo” adibito ad imbarcazioni di modeste dimensioni ha svolto per anni, dignitosamente il proprio compito. Purtroppo la messa in opera di discariche a mare a ponente di Nervi a causa delle correnti causarono spesso il totale insabbiamento dello specchio acqueo rendendolo impraticabile se non ai veicoli che in massa lo utilizzavano per il posteggio. Nei primi anni ’60 venne costruita nella zona di ponente detta della “spiaggetta” una piscina destinata ad attività sportive che rimase in uso per circa cinquanta anni. Divenuta obsoleta e non più fruibile per l’intento per il quale era stata costruita venne avviata alla demolizione e negli spazi resi disponibili è sorta recentemente la nuova “darsena” inaugurata nel mese di agosto del presente 2021.

porticciolo